La Vergine nella seconda parte del messaggio, dopo aver parlato della bestemmia e della profanazione del settimo giorno, afferma come a causa di
questa profanazione le patate si guastino, il grano si ammali, l' uva marcisca, si guastino tutti i prodotti del suolo di cui il popolo vive. Tutto è compromesso in forza del peccato.
L'ordine fisico non è indifferente all'ordine morale; i due ordini non sono divisi. Questo coordinarsi dell'ordine fisico all'ordine morale per noi è misterioso. Dopo il peccato non ci appare chiaramente, ma non possiamo negarlo. E il fatto di non poterlo negare trova una conferma nelle parole della Vergine.
La creazione non ha in sé la ragione d'essere; essa è nella volontà di Dio. Nessuna cosa creata ha in sé la ragione sufficiente d'essere; nessuna è necessaria. Da che cosa dipende allora se non dal-la volontà libera di Dio? Se la creazione riposa sulla volontà di Dio, come può sussistere contro questa volontà? Qui è il fondamento del rapporto fra ordine fisico e ordine morale. Riservandola a una redenzione futura, Dio non permette che il peccato dell'uomo debba far precipitare nel nulla la creazione, ma solo la pazienza di Dio sospende il decreto della morte e della fine. L'abbandono del Figlio non è il suo intervento diretto al casti-go e alla condanna, ma è un lasciare al male di compiere la propria rovina. La sua preghiera, unitamente alla «cura» della Madre per i figli, sospende in grande misura il male che dovrebbe conseguire naturalmente al peccato. Anzi la preghiera del Cristo e della Vergine nonostante tutto sembra assicurare la salvezza. La Vergine parla di castighi temporali, non sembra minacciare la dannazione eterna. E poi la conformità della volontà dell'uomo al volere di Dio che dà all'uomo un potere reale sulla creazione perché nella misura in cui l'umanità ritorna ad essere una con Dio, anche la creazione, che è legata all'uomo, ritorna ad avere insieme all'uomo una salvezza.
Il rapporto dell'uomo con Dio determina il rapporto della creazione con 1' uomo. Se l'uomo non vive in pace con Dio, se rompe la sua alleanza con lui, anche la creazione rompe la sua alleanza con l'uomo. Al contrario dalla fedeltà dell'uomo all'alleanza con Dio, la creazione intera ritorna amica dell'uomo. E quanto insegna nell'Antico Testamento il profeta Osea (2,23-24):
Per questo in risposta a questi mali che producono morte chiede una conversione degli uomini che non è ancora la fine del mondo presente, promette una miracolosa fecondità: «Se si convertono, le pietre e le rocce si tramuteranno in mucchi di grano e le patate nasceranno da sole nei campi». Si è accennato più volte alla promessa, conviene soffermarci un poco su queste parole. Nel messaggio, i castighi sembrano prevalere sulla promessa; di fatto l'una e gli altri confermano l'insegnamento di un rapporto fra l'ordine morale e l'ordine fisico.
In questo coordinamento tra ordine fisico e ordine morale il Maria ci fa prendere coscienza che sono i santi che, non solo mantengono il mondo, ma lo fanno vivere. Questo insegnamento che ci sembra così strano, lo troviamo negli scritti dei primi secoli della chiesa. Il primo scritto apologetico cristiano, l'Apologia di Aristide, che risale a pochi anni dopo la morte dell'ultimo apostolo, fa questa stupefacente affermazione: «E per la preghiera dei cristiani che il mondo sussiste». Pochi anni dopo veniva scritta la Lettera a Diogneto; vi si legge: «Quello che l' anima è nel corpo, questo sono i cristiani nel mondo. Come il corpo vive perché vi è un'anima che gli dona la vita, così il mondo vive perché vi sono i cristiani. Se l'anima sfugge dal corpo, il corpo si disfà; così se i cristiani non fossero nel mondo, il mondo cadrebbe nel nulla».
P. Celeste Cerroni MS
Riflettendo sulla secolarizzazione che colpisce tanti Paesi dell’Occidente, mi viene in mente una domanda che Gesù stesso ha posto : « Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra » ? (Luca 18,8). A questa domanda, molti sostengono che la fede scomparirà con la Chiesa. Da un lato, hanno ragione perché nel mondo di oggi, soprattutto in Occidente, sono tante le chiese vuote la domenica. Secondo l’espressione della Madonna a La Salette, solo alcune donne anziane vanno a messa. I giovani fuggono dalle parrochie; invece di andare in chiesa, preferiscono visitare i centri commerciali. E’ la ragione per laquale molti dicono che i centri commerciali sono diventati le nuove cattedrali del nostro tempo. Nelle grandi città del mondo, infatti, se uno vuole incontrare i suoi amici, gli basta fare un giro in questi luoghi di ritrovo. Cambiano veramente le cose : molti cristiani hanno abbandonato la chiesa e non vanno più lì per pregare ma per fare il turismo. Ecco perché molti sostengono che, al suo ritorno, Gesù non troverà più la fede sulla terra.
La mia riflessione sul comportamento dei cristiani di oggi non mi permette però di condividere perfettamente questo punto di vista. E’ vero che tante sono le chiese quasi vuote la domenica in Occidente ; ma chiesa vuota non significa necessariamente assenza di fede. Anche se la casa di Dio è vuota, il cuore dell’uomo non è mai vuoto ; c’è sempre uno spazio per Dio dentro di noi. L’essere umano, infatti, è un essere finito fatto per l’infinito. Chi di noi pùo dire con certezza che coloro che non frequentano più la chiesa sono veramente senza vita spirituale ? Non hanno perso completamente la fede ; ma è piuttosto il loro modo di vivere la fede, che cambia. Andare a pregare in chiesa non è più interessante per molti cristiani ; preferiscono pregare da soli a casa. C’è poca gente durante la messa domenicale, ma se il parroco organizza qualche processione in onore dei santi, le strade sono gremite di gente. Anche i non credenti ci tengono. Le processioni diventano un elemento essenziale della fede di tanti cristiani. Il Dio degli uomini di oggi non rimane più da solo in chiesa ma esce per strada e fa il giro della città con la gente. Certamente quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora la fede sulla terra, ma solo per strada. Se vogliamo che Gesù ritorni in chiesa, dobbiamo cambiare la nostra visione della fede.
C’è una grande sfida che la Chiesa deve affrontare in Occidente : la privatizzazione della fede. E’un problema legato al cambiamento della mentalità. Cambia la mentalità e cambia anche la visione della fede. Abitualmente quando si parla di essa, si fa sempre riferimento alla Chiesa : l’appartenenza alla Chiesa, infatti, è un’ espressione di une fede vissuta. Nel mondo odierno però, molti cristiani pensano che la fede sia piuttosto un fatto privato del credente, cioè una cosa da vivere da solo senza Chiesa o comunità. Credono in Dio ma non appartengono a nessuna parrocchia ; pregano da soli ma non in comunità. Anche se si va in chiesa qualche volta, ci si va solo quando la comunità parrocchiale non è presente. Si agisce da soli e non ci si vuole sottomettere a nessuna autorità religiosa. Questa situazione ci permette di concludere che siamo veramente in cammino verso la privatizzazione della fede. L’Occidente ha privatizzato l’economia e vuole anche privatizzare la fede. Tale atteggiamento conduce però ad un pericolo : la perdita dell’essenziale.
La privatizzazione della fede è una minaccia per tutta la Chiesa. E’ una minaccia perché molti cristiani insistono soltanto sulla dimensione personale di essa. Certamente la preghiera personale o individuale fa parte integrante della vita cristiana ; un vero cristiano deve saper pregare da solo. Nel Vangelo, infatti, Gesù stesso si ritira spesso a pregare da solo nel luogo silenzioso. Non dovremmo dimenticare però che la fede cristiana ha anche una dimensione comunitaria o ecclesiale. Gli Atti degli apostoli ci raccontano che i primi cristiani pregavano in comunità e celebravano insieme l’eucaristia. E’ questa dimensione comunitaria della fede che i cristiani di oggi minimizzano un pò. Poi, privatizzandola, lasciano da parte tutti i sacramenti. Per i partigiani della « fede fai da te », infatti, non c’è né comunità, né sacramenti : ognuno per conto suo. Non si rendono conto che essi costituiscono una parte essenziale della fede cristiana; la Madonna l’ha già ricordato nel suo messaggio a La Salette.
Il messagio de la Salette ci può condurre all’essenziale della fede. Durante la sua apparizione sulla montagna, infatti, la Madonna ci ricorda anzittuto l’importanza della messa domenicale : « D’estate, a messa vanno solo alcune donne anziane. Gli altri lavorano di domenica. D’inverno, quando non sanno che fare, vanno a Messa, ma solo per burlarsi della religione » (NDS). Insistendo sul rispetto del settimo giorno, la Madonna mette in evidenza la dimensione comunitaria ed ecclesiale della fede cristiana. Anche se i cristiani hanno bisogno di stringere un’ amicizia personale con Dio, devono anche imparare a pregare insieme. Così hanno fatto i primi cristiani e gli apostoli nell’attesa della venuta dello Spirito Santo.
Poi, la Vergine Maria ha anche sottolineato l’importanza dei sacramenti nella vita dei credenti, in modo particolare il sacramento dell’eucaristia e quello della riconciliazione. Infatti, l’insistenza sul riposo domenicale non è soltanto un riferimento alla natura comunitaria della fede, ma è anche un invito a partecipare all’eucaristia. E’ tutto il popolo di Dio che si deve nutrire di tale sacramento secondo il messaggio della Madonna. Ricordiamo però che là dove non c’è Chiesa, non c’è eucaristia.
Infine, mettendo l’accento sulla conversione, la Madonna ci invita a rivalorizzare il sacramento della riconciliazione, parte fondametale della nostra fede. Tutto il messaggio della Salette, infatti, è un invito alla riconciliazione. E’ un messaggio sempre attuale che può aiutarci ad affrontare i problemi della privatizzazione della fede; leggendolo, vediamo chiaramente che i sacramenti sono importanti nella vita dei credenti e che Dio ha sempre bisogno della Chiesa.
Abdon Alphonse Randriamirado ms
MONS. PHILIBERT DE BRUILLARD E LA SALETTE
Gian Matteo Roggio ms
INTRODUZIONE
Molti si chiedono se il giudizio emesso da Mons. Philibert De Bruillard, vescovo di Grenoble, in merito all’apparizione di Maria a due ragazzi, Massimino (Maximin) Giraud e Melania (Mélanie) Mathieu Calvat, avvenuta il 19 settembre 1846 su una cima montana del territorio del comune di La Salette, sia attualmente valido e vincolante per tutti coloro che, in piena libertà, si avvicinano a questo evento nel tentativo di coglierne la portata spirituale e pastorale all’interno della e per la maturazione battesimale del popolo di Dio in cammino nella storia. Le opinioni sono diverse, per cui si assiste a una variegata gamma di posizioni, che vanno comunque legate alla storia particolare di questa mariofania[1], tuttora avvolta da una pesante ombra di sospetto e diffidenza proveniente da consistenti settori della comunità cristiana, della gerarchia e degli studiosi[2].
Una possibile chiave per accostare la complessità di un evento quale una apparizione mariana è quella di intenderla quale “nexus mysteriorum”, ossia come esperienza in cui si intersecano e si richiamano le dimensioni fondamentali della rivelazione-autocomunicazione di Dio e della libera risposta dell’uomo ad essa.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica pone infatti le apparizioni mariane nel capitolo secondo, significativamente intitolato “Dio viene incontro all’uomo”[3], in rapporto a Cristo Gesù, Mediatore e pienezza di tutta la rivelazione[4]. Il Catechismo non parla esplicitamente delle mariofanie in quanto tali, ma le inserisce nel quadro di quel che è stato tradizionalmente chiamato “rivelazione privata”[5]: un evento storico[6] la cui vocazione è “servire” la rivelazione definitivamente compiuta in Cristo. Questo “servizio”[7] consiste nell’aiuto a vivere più pienamente l’essenziale della fede in una determinata epoca, dal momento che «anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli»[8].
Il valore[9] di un’apparizione mariana, insito nella sua vocazione al “servizio”, è quindi di natura eminentemente pratica[10], dal momento che l’esplicitazione della rivelazione non è riducibile solo ad un aspetto conoscitivo-intellettuale[11], ma indica, nel suo complesso, una sempre più incarnata realizzazione della consacrazione-testimonianza battesimale da parte dell’intero popolo di Dio. Scrive infatti Karl Rahner:
«Le rivelazioni private (o particolari) non possono essere messe sullo stesso piano della Rivelazione fondatrice divina data dal Cristo, riportata nella Scrittura e trasmessa dalla tradizione della Chiesa. Esse non sono nemmeno superflue ripetizioni celesti di tale Rivelazione pubblica oppure un aiuto intellettuale per conoscere qualcosa che fondamentalmente potrebbe essere anche conosciuto senza questo aiuto […] Sono nella loro natura un imperativo di condotta, un comando di come dovrebbe agire la cristianità di fronte ad una determinata situazione storica. Non sono delle nuove enunciazioni che ci vengono offerte dal soprannaturale, ma un nuovo comando»[12].
Proprio il valore pratico insito nelle apparizioni mariane ha portato le medesime ad essere collocate nel quadro simbolico tipico delle esperienze profetiche. «Di queste, le apparizioni fanno propria la dimensione fondamentale della proclamazione di un messaggio incentrato nell’appello alla penitenza e alla preghiera, ossia alla conversione del cuore verso il Signore della vita e della storia, che viene a vivere con l’uomo. A ben guardare, questa proclamazione, e l’esperienza ad essa sottesa, costituisce la sorgente e il centro unificatore della vita del Signore Gesù e della comunità dei suoi discepoli. Non a caso Maria è Madre e discepola (Lumen Gentium, 61)»[13].
Le esperienze profetiche sono molteplici e non possono essere appiattite le une sulle altre: di fatto, esse non possono essere pensate come le attuazioni particolari (accidentali) di un modello generale (sostanziale). Allo stesso modo, ogni mariofania possiede una sua originalità singolare che chiede di essere accolta e compresa come centro ermeneutico fondamentale del suo stesso accadere nella storia[14] in quanto dono e compito[15], senza però essere pensata come realizzazione di un unico modello[16].
In questo senso, non sembra teologicamente congruente e soddisfacente l’approccio tipico del modello ermeneutico della “suite mariofanica”[17].
«La griglia di lettura che fa appello all’ipotesi di una “suite mariofanica” permette agli autori di sottolineare, spesso in modo artificiale, somiglianze e punti di convergenza tra le diverse manifestazioni della Vergine. Inoltre spinge altri autori a elaborare un autentico sistema dove ogni apparizione costituisce un elemento strettamente dipendente dalle altre – non solamente quelle del passato, ma anche quelle che debbono (necessariamente) ancora arrivare – e da interpretare come “suite mariofanica” in permanente espansione come Apocalisse mariana in cui la Vergine interviene sempre più frequentemente e con maggiore visibilità, per annunciare la fine dei tempi. Questa prospettiva escatologica, molto in voga nell’ora attuale, è singolarmente riduttrice quanto allo statuto dell’apparizione mariana e al suo significato ecclesiale: a procedere così, si corre il rischio di illudersi e questo quanto più l’elaborazione di tali teorie riposa su basi false»[18].
Il sistema della “suite mariofanica” è incapace di cogliere l’unicità di un’apparizione ed è altrettanto incapace di cogliere la singola apparizione in maniera olistica, come un tutto dotato di una sua propria capacità significativa non condivisibile con altro. In realtà, è solo questa capacità di individuazione che consente di parlare di una grazia specifica (o carisma) di cui l’evento è portatore e che domanda di essere protratta nel tempo come memoria e come profezia.
Una ulteriore difficoltà di un simile modello ermeneutico è riscontrabile nel ruolo che in esso gioca l’elemento del “segreto”. Esso, infatti, viene considerato prioritario e centrale nella spiegazione/ricezione della mariofania e prevede l’assimilazione (o, se si preferisce, l’identificazione) del veggente o dei veggenti ai ricettori/produttori di oracoli visionari. Per potersi reggere, tale dinamica di assimilazione innescata dalla centralità del “segreto” implica che la verità della visione affondi le sue radici nella santità di chi riceve/produce l’oracolo: la visione che si trasforma in oracolo richiede dei santi, la cui santità abbia le stesse modalità espressive “straordinarie” dell’oracolo di cui sono ricettori/produttori[19]. Da questo punto di vista, una simile impostazione non riesce a declinare in maniera soddisfacente né il ruolo dei testimoni di un’apparizione né la loro stessa vita e storia personale.
L’incapacità combinata del modello della “suite mariofanica” di focalizzare una mariofania come un tutto organico con una sua propria specificità che la distingue da altre esperienze dello stesso tipo e di accedere al ruolo dei testimoni in maniera oggettiva, rende una simile metodologia impropria e fuorviante[20]. Proprio per questo, si pone l’esigenza di una metodologia di studio fondata, capace cioè di dare teologicamente ragione di un evento particolare quale una mariofania che, pur non appartenendo all’essenzialità della fede e dell’esperienza cristiana, pur tuttavia può essere riconosciuta ed accolta come cammino di maturazione battesimale non indifferente all’interno della vita della Chiesa. L’elaborazione di una corretta metodologia di approccio si presenta, quindi, non come un compito dovuto all’archeologia, ma come una necessità del presente (e del futuro)[21], anche tenendo conto del dialogo ecumenico[22], all’interno del quale è sempre più necessario ritrovare Maria come Colei che unisce e non come la vittima delle divisioni confessionali[23].
Scopo di questo studio è offrire un contributo all’elaborazione di siffatta metodologia, nella convinzione che quanto messo in atto da Mons. De Bruillard nei confronti dell’evento de La Salette sia sostanzialmente sottovalutato (o semplicemente ignorato), mentre invece costituisce un notevole esempio di prassi teologica e pastorale, la cui validità risulterà sorprendentemente attuale.
Da sempre, la peculiarità originale dell’apparizione di Maria sulla montagna de La Salette è stata identificata con il messaggio da lei lasciato a Massimino e Melania[24]. Questo messaggio è infatti, a rigore di termini, quello che rende La Salette un evento pubblico.
«Le apparizioni pubbliche [Lourdes, Pontmain, Fatima, Banneux, ecc] si distinguono egualmente dal fatto de La Salette, che non ha avuto alcun testimone e dove sono elementi pubblici in senso proprio il messaggio e la sua divulgazione per il racconto fatto da Massimino e Melania ai loro padroni, e che sarà all’origine della relazione Prat; sarà solo in un secondo momento che interverrà il confronto diretto dei ragazzi con i pellegrini e gli incaricati dell’inchiesta. A Lourdes e negli altri luoghi citati, un numero più o meno importante di persone assiste in diretta all’esperienza dei veggenti, sono testimoni della loro estasi, raccolgono immediatamente i termini o il tenore delle comunicazioni che essi affermano di aver ricevuto dalla loro celeste interlocutrice. D’altra parte questo è quel che caratterizza la maggior parte delle mariofanie ai nostri giorni, divenute l’oggetto di un vero spettacolo, di uno show talvolta ai limiti della decenza»[25].
La ricezione di questo messaggio, però, non è stata semplice né lineare: il suo linguaggio duro, crudo, a volte minaccioso, altre volte invece capace di far balenare la luce della speranza, ha più volte messo in difficoltà coloro che si accostavano ad esso nel tentativo di coglierne la chiave principale di accesso. Molti hanno cercato di interpretarlo rifacendosi all’esperienza tipica della “religiosità popolare”. Di fatto,
«nel corso dell’ultimo mezzo secolo, la religione popolare è stata oggetto di innumerevoli studi, dove si affronta, fra gli altri argomenti, il problema del sincretismo pagano-cristiano e della pastorale della paura. Sulla scia di questo tipo di riflessioni, si è finito per ammettere come evidente che il Cristo presentato dalla Signora de La Salette è un “Cristo giustiziere e vendicatore”»[26].
Senza dubbio, le parole di Maria a La Salette raggiungevano e tuttora raggiungono un duplice effetto: quello di mettere in crisi tutta una serie di idee date per scontate nel vissuto come anche nella predicazione e nella riflessione teologica (la semplicità delle parole che portano l’unica Parola divina, la immediatezza del loro significato, la loro intuitività, il valore della redenzione, la missione del popolo dei battezzati, la realtà e la simbolica della soteriologia, il mistero del dolore e della sofferenza…); e quello di spingere ad uno sforzo ermeneutico che trasformi radicalmente i patterns valutativi e comportamentali dell’esperienza. Se questo è lo scenario inaugurato dall’apparizione e dal suo messaggio, non siamo però molto lontani dalla situazione in cui Gesù conia le sue parabole. La costruzione linguistica di una parabola, infatti, segue la medesima traiettoria pragmatica: far precipitare nella “krisis”, attraverso le concatenazioni del racconto e delle immagini, ciò che si dà per assodato e per “vero”; e ricostruire così l’esperienza fondativa dell’ascoltatore attraverso la riallocazione esistenziale degli assi portanti della sua vita. Allo stesso modo, il linguaggio duro e scandaloso, ai limiti della dottrina, rinvenibile a La Salette obbliga a cambiare le attese, i desideri abituali che si possono avere davanti ad un evento sovrannaturale quale un’apparizione.
La verifica del livello di autorità implicato nel e dal giudizio pronunziato da Mons. De Bruillard il 19 settembre 1851 mostrerà proprio questo processo di ricostruzione fondativa dell’esperienza esistenziale dell’ascoltatore, evidenziando la peculiarità del suo approccio all’apparizione, nella convinzione che entrambi costituiscano il fondamento della possibile e corretta ricezione ecclesiale dell’apparizione. Pertanto
«conviene guardare l’apparizione de La Salette per quello che è: un intervento provvidenziale al quale la Chiesa ha riconosciuto i caratteri di un’autentica manifestazione della Madre di Dio a due ragazzi, Melania Calvat e Massimino Giraud, incaricati dalla Signora che hanno contemplato di far conoscere al popolo di Dio un messaggio di salvezza. Siamo lontani dal concetto della “suite mariofanica” e da ogni speculazione escatologica. Questo permette di misurare la distanza che separa il fatto de La Salette da tante mariofanie contemporanee, ordinate in modo più o meno esplicito – sovente più anziché meno – all’annuncio della fine dei tempi, e frequentemente in riferimento a Fatima che esse pretendono sia prolungare, sia spiegare»[27].
1. Il livello di autorità impegnato da Mons. De Bruillard
Prima di passare all’analisi diretta del decreto di approvazione dell’apparizione, è utile passare in rassegna alcuni fatti storici che consentono di ricostruire il quadro in cui si è mossa l’azione di Mons. De Bruillard, dal momento che questi stessi fatti testimoniano il livello di autorità con cui lo stesso Mons. De Bruillard ha impegnato la Chiesa davanti a quanto accaduto il 19 settembre 1846[28].
1.1 La contestazione del clero di Grenoble
La grande maggioranza del clero della diocesi di Grenoble non ha mai assunto una posizione contraria all’evento de La Salette[29]. Ma una piccolissima parte di esso[30], sin dai primi giorni seguenti la notizia dell’apparizione, si era arroccata su posizioni decisamente contrarie alla veracità del fatto. Un primo apice di questa opposizione viene raggiunto nell’ottobre del 1852 e nel marzo del 1853 con la pubblicazione di due pamphlets dell’abbè Claude-Joseph Déléon[31]. Ma la cosa proseguì anche con il successore di Mons. De Bruillard, Ginoulhiac. Nel luglio del 1854, questo gruppo di sacerdoti chiese all’arcivescovo di Lione, cardinale De Bonald, di trasmettere al papa un loro documento sul fatto de La Salette, la Mémoire au Pape[32], che «costituisce in realtà un autentico ricorso al Papa contro il giudizio di Mons. De Bruillard del 19 settembre 1851»[33].
Secondo lo storico Jacques Olivier Boudon,
«è necessario comprendere che questa reazione è diretta anche contro il potere episcopale [corsivo nostro]. È, in certo modo, una delle manifestazioni della fronda anti-episcopale che si era sviluppata nel 1840 particolarmente intorno ai fratelli Allignol e alle loro rivendicazioni in favore dell’inamovibilità dei “desservants”. Lo stesso movimento si ritrova a Grenoble che beneficia in verità di una tradizione in questo campo[34]. Certamente non si tratta della situazione dei preti. Ma l’affare de La Salette è l’occasione di prendersela con un vescovo la cui azione di governo viene giudicata autoritaria e lontana[35]. Alla fine del suo episcopato, Mons. De Bruillard non si sposta più e dirige la diocesi dalla sua camera. Nello stesso tempo, il ricorso al papa è significativo di un movimento più generalizzato in seno ad un clero sempre più romano rispetto ad un episcopato rimasto attaccato al gallicanismo»[36].
Lo stesso Mons. De Bruillard, in occasione del ritiro ecclesiastico del 10 settembre 1852, afferma:
«L’opposizione che era permessa ed era persino utile nei quattro anni che hanno preceduto il mio pronunciamento, è diventata da due anni focosa, ingiusta e passionale. Dopo i miei decreti [il decreto di approvazione dell’apparizione e il decreto di erezione del santuario e della fondazione del corpo dei Missionari di Nostra Signora de La Salette], essa appare, agli occhi di un gran numero di miei colleghi e di stimati teologi, solamente come una rivolta contro l’autorità»[37].
A questo proposito, lo storico Louis Bassette osserva:
«Ci si deve domandare che cosa pensasse della Mémoire il clero della diocesi di Grenoble. Gli storici tacciono su questo punto. Forse gli “oppositori” avevano infranto il divieto di Mons. De Bruillard di pubblicare alcunché sul fatto de La Salette senza la dovuta autorizzazione [gesto che a suo modo non fa che manifestare l’elevato livello di autorità con cui Mons. De Bruillard si è voluto pronunciare davanti all’apparizione], mentre gli altri erano rimasti disciplinatamente in silenzio. Dopo il 1852 non è registrabile alcuna polemica interna ai sacerdoti. Era un silenzio di pura convenienza? E’ agevole rispondere con i fatti: lo zelo, il concorso impresso dai preti di Grenoble al culto di Nostra Signora de La Salette e l’erezione del Santuario stanno a dimostrare che i vescovi, Mons. De Bruillard e Mons. Ginoulhiac, avevano ragione nel dire che l’opposizione era una minoranza numericamente debole e che “l’immensa maggioranza” del loro clero era animata dai loro stessi sentimenti. D’altra parte, reputazioni formali [della Mémoire] furono scritte da molti preti della diocesi, ed espressero i loro sentimenti e quelli della generalità dei loro confratelli»[38].
Questa vicenda mostra a suo modo come Mons. De Bruillard abbia impegnato tutto il suo potere e tutta la sua autorità nel dichiarare autentica l’apparizione de La Salette. Se la contestazione di questo piccolissimo gruppo di sacerdoti era effettivamente diretta contro il potere episcopale, è infatti ragionevole supporre che essa prendesse di mira atti e/o pronunciamenti particolarmente significativi del vescovo, e non certo atti privi di un certo livello di autorità e sostanzialmente periferici o secondari nel governo della diocesi. D’altra parte solo la presenza di atti altamente significativi avrebbe giustificato il ricorso alla Santa Sede e alla suprema autorità della Chiesa.
Davanti alla Mémoire[39], Pio IX ritenne di inviare al nuovo vescovo di Grenoble, Mons. Ginoulhiac[40], un Breve, datato 30 agosto 1854, in cui descrive la condotta da tenere:
«Da quando avete avuto conoscenza della stampa di questo opuscolo, Venerabile Fratello, voi ci avete denunciato gli errori in esso racchiusi e gli attacchi contro la verità del fatto riconosciuto e approvato dal Vescovo vostro predecessore [corsivo nostro] … Per quel che riguarda il fatto, che è stato pubblicato in tante maniere e che è stato riconosciuto dal Vescovo vostro predecessore sulla base di prove e documenti che voi avete sicuramente in mano [corsivo nostro], nulla si oppone a che voi possiate esaminarlo di nuovo e dimostrarlo pubblicamente, se lo riterrete opportuno»[41].
Nel Breve, Pio IX riconosce esplicitamente l’approvazione dell’apparizione come atto legittimamente posto da Mons. De Bruillard nel pieno esercizio delle sue funzioni. Mons. Ginoulhiac ritenne comunque opportuno passare di nuovo al setaccio quelle “prove e documenti” cui Pio IX fa cenno[42], avendo considerato anche la situazione quantomeno imbarazzante in cui Massimino e Melania si stavano venendo sempre più a trovare. Infatti,
«dal febbraio 1847 arriva nell’entourage dei due ragazzi una profezia dove si tratta di preti malvagi e di città punite, Parigi, Marsiglia, ecc, temi che si ritrovano più tardi nei segreti. La profezia è stata inviata al parroco di Corps da un prete residente nei dintorni del santuario di Nostra Signora di Sion in Lorena […] Di tanto in tanto Massimino e Melania sentono parlare di Parigi, dove accadranno cose terribili. Si citano in loro presenza delle profezie come quelle della Suora della Natività, una religiosa morta durante la rivoluzione e le cui rivelazioni furono in gran voga nel diciannovesimo secolo. Tra quelli che parlano delle profezie ai ragazzi c’è l’ingegner Dausse, di Grenoble, che li ha incontrati più volte tra il 1849 e il 1851. Poi ci sono diversi partigiani del falso Luigi XVII: l’orafo Houzelot, salito a La Salette dal 1847; il sacerdote Faurè, che soggiornò a La Salette nel 1850; l’avvocato Girard di Grenoble […] Nell’estate del 1853 […] circolano in effetti delle profezie, uscite dalla bocca di Massimino, il ragazzo divenuto nel frattempo diciottenne: l’imperatore e il papa saranno assassinati, Parigi sarà distrutta, ma Luigi XVII ristabilirà tutte le cose. Per il vescovo [Ginoulhiac] si tratta di frottole ispirate da quello che il giovane ha udito intorno a lui. Preoccupa egualmente anche il comportamento di Melania […] Anche lei si lascia sfuggire dei vaticini, in particolare sull’anticristo e le sue origini»[43].
Questo rinnovato procedimento di indagine di Mons. Ginoulhiac sfocia nella pubblicazione di un decreto, datato 4 novembre 1854[44]. Sono state fatte molte illazioni nei confronti di un eccessivo servilismo di Mons. Ginoulhiac nei confronti di Napoleone III. Dal momento che quest’ultimo viene nominato e condannato nelle redazioni scritte dei segreti, alcuni hanno letto la durezza di Mons. Ginoulhiac verso i ragazzi e l’insieme di questo decreto come atto dovuto nei confronti dell’imperatore[45]. Eppure, una simile valutazione di questo decreto non rende ragione dell’insieme della situazione storica: una volta tenuto presente quanto innescato dalla Mémoire e dal suo invio al Papa, non si può non riconoscere che l’intervento di Mons. Ginoulhiac nasce in un contesto specificamente ecclesiale e risponde a problemi di natura specificamente ecclesiale, non politica[46]. Il pronunciamento di Mons. Ginoulhiac è perfettamente legittimo e rientra nella sua effettiva competenza pastorale, per cui ci troviamo di fronte a un giudizio fondato (che ha, cioè, il suo fondamento). Non è dunque possibile interpretare questo documento come il riuscito tentativo politico di isolare e marginalizzare le voci critiche dei veggenti nei confronti del regime imperiale.
A conferma di quanto appena rilevato, si pone poi il fatto che il decreto approntato da Mons. Ginoulhiac assume le prospettive fondamentali già enunciate da Mons. De Bruillard, richiamando e approfondendo due passaggi già presenti nella dichiarazione di approvazione del 19 settembre 1851[47], vale a dire le finalità dell’apparizione e il ruolo dei ragazzi, passaggi elaborati in totale distacco da qualsivoglia calcolo o preoccupazione politica.
Nella formulazione adottata tre anni prima da Mons. De Bruillard, le finalità dell’apparizione non contemplano un posto particolare o una funzione (missione) specifica per i due veggenti in virtù del segreto loro affidato. Essa recita:
«Malgrado il naturale candore dei due pastorelli; malgrado l’impossibilità di un accordo tra due ragazzi ignoranti e che si conoscevano appena; malgrado la costanza e la fermezza della loro testimonianza, che non ha mai subito variazioni né davanti alla giustizia umana né di fronte alle migliaia di persone che hanno esercitato tutti i mezzi di seduzione per farli cadere in contraddizione o per ottenere la rivelazione del loro segreto, noi abbiamo dovuto mostrarci per lungo tempo riluttanti ad ammettere come incontestabile un evento che sembrava così meraviglioso […]»[48].
Di fatto, Mons. De Bruillard non considera i ragazzi come dei profeti/veggenti/santi, ma come testimoni dei quali si deve appurare l’attendibilità: questa attendibilità consiste nella ragionevole certezza che essi non sono stati ingannati e non hanno ingannato. Questa certezza emerge e si corrobora nel considerare la “costanza” e la “fermezza” che Massimino e Melania hanno vissuto e mostrato nel raccontare il messaggio pubblico e nel mantenere nascosti i segreti. Essa non parte da una analisi morale dei ragazzi: non è la loro moralità (santità) a garantire la veracità della testimonianza che offrono, ma è la perseveranza invariata di quest’ultima a indicare che qualcosa di non spiegabile naturalmente è accaduto il 19 settembre 1846.
Ora, questo è proprio quanto Mons. Ginoulhiac riafferma:
«Per parlare dei ragazzi de La Salette, non c’è senza dubbio bisogno di osservare come la loro condotta attuale, fosse anche tale come viene descritta, non provi nulla contro il fatto dell’apparizione. Chi è colui che non sa che questo tipo di grazie, secondo le posizioni dei teologi e del Vangelo stesso, possono essere accordate a persone indegne di riceverle, soprattutto quando non hanno come oggetto diretto la santificazione di coloro che le ricevono, ma quando contengono degli avvertimenti o degli insegnamenti che debbono essere utili agli altri?»[49].
L’assimilazione del testimone al profeta/veggente/santo è invece, come già rilevato, uno degli assunti del modello ermeneutico della “suite mariofanica”. In esso, il veggente, santo dotato di qualità straordinarie, riceve una missione specifica da esercitare presso il popolo di Dio, missione spesso legata al segreto di cui è portatore e che costituisce il centro di tutto l’evento. Nulla di ciò è presente nel decreto di approvazione emanato da Mons. De Bruillard.
Oltre a non riconoscere una qualità profetica ai testimoni, non viene nemmeno concesso ai segreti un posto o una dignità particolare: essi non sono al di sopra dell’apparizione, non ne costituiscono il culmine, ma ne sono una semplice parte; i segreti vanno inseriti nella totalità dell’evento; è la totalità dell’evento che li porta, li sostiene, non il contrario. Nel decreto viene raccontata la loro stesura, non come culmine dell’indagine, ma come mezzo utilizzato in vista di uno specifico fine:
«Così [con la scrittura dei segreti e il loro invio al Papa a Roma] è caduta l’ultima obiezione che veniva fatta contro l’apparizione e cioè che non esisteva alcun segreto o che questo segreto fosse senza importanza, se non addirittura puerile, e che i fanciulli non volevano farlo conoscere alla Chiesa»[50].
Come si può notare dalla formulazione, la posizione dei segreti è subordinata, non principale: essi sono una parte dell’apparizione e sussistono nella misura in cui quest’ultima sussiste; essi sono una parte dell’evento, che come tale va giustamente ricordata, ma non sono “l’evento”. Inoltre, se fosse vero l’assunto del modello teologico della “suite mariofanica”, gli stessi “fini” dell’apparizione dovrebbero essere esplicitati a partire dai segreti, cuore della profezia de La Salette. Anche questa volta, così non è: le finalità dell’apparizione non provengono dai segreti. Infatti si legge nel decreto:
«Dal momento che il fine principale dell’apparizione è stato di richiamare i cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della Chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica, noi vi scongiuriamo, carissimi fratelli, in vista dei vostri interessi celesti e egualmente terreni, di rientrare seriamente in voi stessi, di fare penitenza dei vostri peccati e particolarmente di quelli che avete commesso contro il secondo e il terzo comandamento di Dio»[51].
Quel che viene considerato qui in prospettiva apostolica e spirituale è il messaggio pubblico che i ragazzi hanno sempre raccontato senza alterazioni o cambiamenti, nel corso della loro vita: se è questo a determinare non “una”, ma “la” risposta della Chiesa all’apparizione, allora vuol dire che è il messaggio pubblico ad esserne il centro e la chiave ermeneutica, non i segreti affidati ai ragazzi.
Escludendo apertamente che i ragazzi abbiano ricevuto una particolare missione profetica, il decreto di approvazione afferma che l’autenticità dell’apparizione non promana e non proviene dai segreti. Piuttosto, è il fatto dell’apparizione nella sua totalità (rispetto alla quale i segreti sono una parte) a non poter essere spiegato con cause naturali. Mons. De Bruillard scrive:
«Considerando, in primo luogo, l’impossibilità in cui ci troviamo di spiegare il fatto de La Salette in maniera altra rispetto all’intervento divino, qualunque modalità trovassimo, sia nelle sue circostanze, sia nella sua finalità essenzialmente religiosa; considerando, in secondo luogo, che ciò che di meraviglioso è seguito al fatto de La Salette è la testimonianza di Dio stesso, che si manifesta attraverso i miracoli, e che questa testimonianza è superiore a quella degli uomini e alle loro obiezioni; considerando che questi due motivi, presi separatamente e a più forte ragione riuniti insieme, devono dominare tutta la questione e togliere ogni specie di valore alle pretese e alle supposizioni contrarie di cui noi dichiariamo di avere una perfetta conoscenza; considerando infine che la docilità e la sottomissione agli avvertimenti del cielo possono preservarci da nuovi castighi dei quali siamo minacciati, mentre una resistenza troppo prolungata può esporci a dei mali senza rimedio […]»[52].
Dei tre criteri ermeneutici esplicitamente affermati, nessuno di essi viene legato ai segreti di cui Massimino e Melania sono stati beneficiati. E’ quindi il decreto di approvazione dell’apparizione di Mons. De Bruillard a fissare quei limiti che Mons. Ginoulhiac riprende nella propria istruzione pastorale: essi non sono una sua invenzione arbitraria o il frutto di un servile calcolo politico, ma la riaffermazione ufficiale di quanto già stabilito dalla Chiesa nel 1851, posta invece di fronte adesso, nel 1854, a una nuova situazione di contestazione e di sospetto nei confronti della mariofania de La Salette.
E’ su questa base che Mons. Ginoulhiac può scrivere:
«Ci si sbaglierebbe egualmente nel pensare che è dal carattere morale dei ragazzi all’epoca dell’apparizione che si induce in maniera principale la prova della sua realtà. I diversi autori che hanno scritto su questa materia la evincono dall’impossibilità nella quale si trovavano allora i ragazzi, di essere stati gli inventori, le vittime o i complici di una messinscena. La loro grossolanità, la loro bizzarria e la loro ignoranza sono note […] Non si conoscevano, si erano visti solo qualche giorno prima, a intervalli diversi, ed è durante i momenti di gioco passati insieme che essi avrebbero dovuto concertare la favola dell’apparizione, con tutte le circostanze di cui l’hanno costantemente accompagnata? Benché grossolani e ignoranti, essi non lo erano al punto di persuadersi invariabilmente l’un l’altro di aver visto e udito quello che affermano dal primo momento di aver visto e sentito, se quest’ultimo non esistesse. Poveri, leggeri e bizzarri, dall’indomani [del fatto] essi hanno resistito alle seduzioni e alle minacce le più capaci di impressionare due ragazzi della loro età ed estrazione sociale. Né l’uno né l’altro si sono mai smentiti durante tre anni […] Del resto, nell’attestazione del fatto in se stesso e nella conservazione di quello che essi chiamano il loro segreto, essi si sono mostrati di una fermezza che ha sconcertato gli uomini più risoluti ad abbatterla, e di una abilità che ha smontato costantemente le questioni meglio preparate. Infine, ed è una rimarcabile osservazione fatta da Monsignor Vescovo di Birmingham [Mons. William Ullathorne salì sulla montagna de La Salette dal 25 al 27 maggio 1854], “rispondendo alle innumerevoli domande che sono state loro fatte e che riempirebbero grossi volumi, nello stesso momento in cui erano intenti a raccontare i dettagli dell’apparizione e la parte che vi avevano preso, essi hanno senza dubbio descritto il loro carattere, i loro difetti e le loro qualità in maniera così minuziosa e con una verità tale che non è spiegabile se non perché essi hanno di fatto visto e agito in quel momento così come essi dichiarano”. Tali sono i fatti e le circostanze da cui si può concludere, se non ci inganniamo, la verità del racconto dei ragazzi; e questi fatti e queste circostanze sono evidentemente al di fuori della considerazione delle loro abitudini di sincerità o di moralità all’epoca dell’apparizione […] Del resto, la condotta da noi tenuta verso questi ragazzi permette una rimarcabile osservazione. Cioè che malgrado le misure che noi abbiamo preso nei loro confronti, e che sono sembrate severe, benché noi avessimo affermato più in alto che ogni diniego da parte loro non avrebbe avuto alcuna importanza; malgrado il malcontento e lo smarrimento che essi hanno provato, sebbene noi avessimo loro accordato la più grande libertà sia nelle loro relazioni abituali sia nei loro viaggi; di fronte a questa sorta di provocazioni, e con tutta la facilità di smentirsi, essi non sono cambiati nel loro linguaggio sulla verità del Fatto de La Salette, e non è loro mai scappata alcuna parola, una minaccia, da cui si possa inferire che non sono convinti»[53].
La relazione tra questi testi fa emergere con sufficiente chiarezza come il modo di procedere adottato da Mons. Ginoulhiac costituisca una testimonianza diretta del livello di autorità con cui il suo predecessore, De Bruillard, si era impegnato davanti al fatto de La Salette. Se il pronunciamento di quest’ultimo, infatti, fosse stato di basso profilo, non si vede perché Mons. Ginoulhiac, soprattutto in una situazione di crisi e contestazione dell’apparizione, si sia sentito vincolato a riprendere e ribadire proprio quei confini che quel pronunciamento aveva fissato. Anzi, se si fosse trattato di un intervento di basso profilo e di scarsa valenza ecclesiale, questa sarebbe stata l’eventuale occasione per sostituirlo con un atto di maggiore impegno e valore; oppure, al contrario, sarebbe stata l’occasione per mettere definitivamente a tacere l’affare.
Nota infatti lo storico Jean Stern:
«Quando Mons. Ginoulhiac arriva a Grenoble nel maggio del 1853, egli ammette che esiste una presunzione in favore della realtà dell’apparizione, dal momento che il suo predecessore si era pronunciato in tal senso. Ma una presunzione non è una certezza. Mons. Ginoulhiac intende sospendere il suo giudizio fino a quando lui stesso non avesse visto chiaro in merito. Tuttavia, in qualità di vescovo di Grenoble egli si considera obbligato a vegliare sul movimento spirituale nato in seguito al fatto del 19 settembre 1846. Egli arriverà a ricordare, e anche con una certa insistenza, che per l’approvazione di una devozione o per l’erezione di un nuovo santuario a seguito di una apparizione, è sufficiente per il vescovo una semplice indizio di probabilità della realtà di tale apparizione. Egli distingue dunque nettamente da una parte l’apparizione, reale o immaginaria che sia; e dall’altra parte le diverse iniziative di ordine religioso nate a seguito del fatto. La distinzione operata dal nuovo vescovo di Grenoble tra fatto e devozione illustra perfettamente il suo modo di affrontare i problemi. E’ un uomo di studio […] Ha cominciato la sua carriera sacerdotale nel 1830, come professore al seminario maggiore di Montpellier […] È in queste circostanze che nel gennaio-febbraio del 1854 Mons. Ginoulhiac inizia una inchiesta sistematica. Egli fa ricercare le relazioni più antiche e richiede informazioni sul comportamento dei due veggenti […] Nel novembre del 1854 […] Mons. Ginoulhiac si pronuncia chiaramente in favore dell’autenticità dell’apparizione»[54].
L’unica ragionevole spiegazione di un simile comportamento è che il giudizio di Mons. De Bruillard si sia attestato sul massimo livello possibile delle sue capacità e sia perciò stato tutt’altro rispetto a un atto di basso profilo ecclesiale, tanto da essere teologicamente e pastoralmente vincolante per i suoi successori anche e soprattutto in una situazione insieme di crisi di credibilità e di contestazione dell’apparizione.
1.2 Il contrasto tra Mons. De Bruillard e il cardinale De Bonald
Il cardinale di Lione, De Bonald, arcivescovo metropolita del vescovo di Grenoble, non fu mai convinto della verità dell’apparizione[55]. Scrive lo storico Jacques Olivier Boudon:
«Come il vescovo di Grenoble, il cardinale De Bonald è divenuto vescovo sotto la Restaurazione, accedendo alla sede di Puy nel 1823, prima di essere trasferito a Lione nel 1840. La sua fede regalista non può essere tacciata di difetti; figlio del visconte Louis De Bonald, teorico della controrivoluzione, egli si è impregnato del pensiero tradizionalista fin dalla sua giovinezza […] E’ incontestabile che il cardinale De Bonald voglia avvalersi di un diritto di superiorità sul suo suffraganeo. Bisogna forse scorgere in questo l’alterigia del nobile verso un “contadino con la mitra”? Mentre uno è accanto al patibolo, l’altro scopre la controrivoluzione nel salotto. Il cardinale De Bonald ha servito l’Impero, entrando nella “Grande Aumônerie” come chierico della cappella imperiale, mentre il sacerdote Bruillard dirigeva la “Congregation”[56]. Il primo ha conosciuto molto presto gli onori della Restaurazione divenendo cappellano del conte di Artois e vicario generale di Chartres, mentre il secondo otteneva una parrocchia inamovibile, certo, ma in un quartiere popolare. Infine, il cadetto di venticinque anni accede all’episcopato due anni prima dell’anziano per salire tutti i gradini della gerarchia fino al seggio primaziale delle Gallie e alla porpora. In definitiva, sono due generazioni di vescovi che si oppongono: una generazione educata sotto l’Ancien Régime e che ha subito in pieno gli effetti della Rivoluzione e una generazione educata sotto il Concordato e che ha beneficiato dei numerosi vuoti in seno al clero francese per salire rapidamente gli scalini della gerarchia. Il cardinale De Bonald rappresenta questa seconda generazione. Egli doveva pensare che, una volta pronunciatosi, la questione sarebbe stata chiusa. Ma non fu così»[57].
Nonostante i suoi reiterati interventi, egli non riesce a far desistere Mons. De Bruillard dalla posizione che quest’ultimo intendeva assumere davanti al fatto de La Salette. Davanti alla pubblicazione del decreto di approvazione[58], egli comunica a Mons. De Bruillard che una tale approvazione richiede la convocazione di un concilio provinciale; ma Mons. De Bruillard risponde che ciò non è necessario in quanto è competente l’ordinario del luogo nella pienezza della sua autorità[59], facoltà peraltro già confermata nel luglio 1851 da Roma stessa in occasione della presentazione del testo dei segreti alla Santa Sede[60].
Un accenno a questa querelle e alla posizione consapevolmente assunta da Mons. De Bruillard è comunque presente nel decreto di approvazione dell’apparizione, dove si legge:
«Del resto, noi non abbiamo mai smesso di essere disposti a richiamarci scrupolosamente alle sante regole che la Chiesa ci ha tracciato grazie alla penna dei suoi sapienti dottori, ed anche a riformare il nostro giudizio su questo oggetto [l’apparizione], come su tutti gli altri, se la cattedra di Pietro, madre e maestra di tutte le chiese, avesse ritenuto di dover pronunciare un giudizio contrario al nostro»[61].
Vale la pena di notare qui che la stesura primitiva del decreto di approvazione era ancora più chiara in proposito, dal momento che aggiungeva a quanto riportato queste linee che poi non vennero pubblicate nel testo definitivo:
«Nello stesso tempo abbiamo domandato a Sua Santità se egli trovasse buono che noi pubblicassimo il nostro giudizio su questo grande avvenimento e che noi lo proponessimo ai fedeli come degno di tutta la loro convinzione, del loro rispetto, della loro riconoscenza. Il Santo Padre ci ha impegnati a seguire il movimento del nostro cuore e la luce del nostro spirito. Il Santo Padre ha fatto udire la sua voce. Cosa resta da fare, se non umiliarci e pubblicare le meraviglie dell’Onnipotente»[62].
Questi testi non supportano alcune ricostruzioni storiche, secondo cui Pio IX avrebbe incoraggiato l’approvazione dell’apparizione a causa della lettura dei segreti messi per iscritto dai ragazzi e a lui consegnati il 18 luglio 1851[63]. In realtà, Mons. De Bruillard non afferma che il papa (e/o la Santa Sede) si sia personalmente e ufficialmente impegnato con entusiasmo di fronte all’evento de La Salette, ma semplicemente che non “ha ritenuto di dover pronunciare un giudizio contrario al nostro”: il che vuol dire riconoscere non solo la legittimità ma anche il livello di autorità del pronunciamento operato dal vescovo diocesano. Il testo del decreto di approvazione era stato infatti inviato per un esame definitivo a Roma, che nella persona del Segretario di Stato e Prefetto della Congregazione dei Riti, cardinale Luigi Lambruschini, così risponde:
«Ho ricevuto il testo del progetto del decreto che il sapiente e pio vescovo di Grenoble desidera pubblicare in relazione al fatto che ha avuto luogo su una delle montagne della sua diocesi. Non appena i miei impegni e la mia debole salute me lo hanno consentito, ho letto molto attentamente il decreto, e questo è il mio avviso. Il prelato racconta il fatto certamente straordinario de La Salette senza prevenzioni, e con l’esattezza storica tanto raccomandata nella Santa Scrittura e nelle regole della Santa Chiesa. Va tutto molto bene e la lettura non ha lasciato nulla a desiderare, soprattutto per l’esame dell’avvenimento, condotto con un rigore edificante e certamente lodabile [corsivo nostro]»[64].
Osserva a questo proposito lo storico Louis Bassette:
«La Santa Sede non si sarebbe pronunciata sul fatto, fedele in questo alla sua secolare prudenza in tali circostanze, ma né il Sovrano Pontefice, né il Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, né le alte personalità romane […] - e molti non avevano nascosto il loro sentimento favorevole – vedevano alcunché di inconveniente, anzi il contrario, a che il vescovo di Grenoble, l’Ordinario del luogo in cui si era verificato l’avvenimento,usando i poteri e in obbedienza ai doveri a lui conferiti dal concilio di Trento (secondo decreto della XXV sessione) e malgrado l’opposizione del metropolita della provincia, emettesse il giudizio che lui era competente a pronunciare»[65].
L’argomento più influente per dirimere la questione lo offre comunque lo stessoMons. De Bruillard, che in un altro passo del decreto di approvazione afferma esplicitamente:
«La nostra convinzione [relativa alla verità dell’apparizione] fu già piena e senza indugi alla fine delle sedute della commissione, il 13.12.1847»[66].
La prima stesura dei segreti e la loro lettura da parte di Mons. De Bruillard risale invece al 3-6 luglio 1851: stando alla sua esplicita testimonianza, non è dunque possibile asserire che la lettura-conoscenza dei segreti sia stata la causa decisiva del riconoscimento ufficiale concesso all’apparizione, sia per quello che riguarda il vescovo di Grenoble che la Santa Sede.
Quasi poi a ribadire la legittimità della propria posizione davanti all’atteggiamento del suo metropolita, nel decreto del primo maggio 1852, con il quale si annuncia la costruzione del santuario e la fondazione del corpo dei “Missionari di Nostra Signora de La Salette”, Mons. De Bruillard esordisce così:
«Dall’origine del cristianesimo è successo molto raramente che un vescovo dovesse proclamare la verità di una apparizione dell’Augusta Madre di Dio. Questa beatitudine il Cielo ce l’ha riservata, senza che l’avessimo personalmente meritata, come una prova sensibile della sua bontà misericordiosa verso i nostri amatissimi fedeli della diocesi. E’ una missione infinitamente onorabile quella che ci è stata data da compiere; è un dovere sacro a cui dobbiamo conformarci; è un diritto che ci viene concesso dai sacri canoni e del quale noi abbiamo dovuto fare uso, sotto pena di una resistenza colpevole nei confronti della voce del cielo»[67].
Viene quindi chiaramente espresso e ribadito tutto il livello di autorità (“diritto che ci viene concesso dai sacri canoni”) con cui Mons. De Bruillard si impegna davanti al fatto de La Salette. Egli stesso qualifica poi il suo procedere come “giudizio dottrinale”[68].
Ma il cardinale De Bonald rimase sempre invincibilmente convinto che l’apparizione fosse un falso, ordito e perpetrato dall’entourage di un avventuriero (il sedicente barone di Richemont) che si voleva far passare per il figlio di Luigi XVI e quindi come legittimo erede al trono di Francia[69].
1.3 L’originalità del giudizio di Mons. De Bruillard
Mons. De Bruillard ha vissuto a Parigi durante la Rivoluzione e il Terrore, accompagnando i condannati a morte alla ghigliottina e conservando clandestinamente i legami con alcuni grandi personaggi dell’aristocrazia. Ciò ha favorito in lui, secondo lo storico Boudon, il radicarsi di una spiritualità austera, severa, marcatamente penitenziale (con tonalità gianseniste), con una forte impronta mariana e legata alla società dell’Ancien Régime. La sua stessa nomina a vescovo all’età di più di 60 anni può essere letta come la volontà di ricompensare un servitore instancabile della causa monarchica[70].
Ciò si inserisce nel contesto più generale della restaurazione politica e religiosa degli anni successivi al 1814, dove la nota dominante è data dalla riparazione[71]. Bisognava espiare il regicidio (l’esecuzione di Luigi XVI nel 1793), gli oltraggi alla religione e in particolar modo i sacrilegi, passati e presenti, riguardanti l’eucarestia, le bestemmie e la violazione della domenica. Questo panorama ispira la fondazione di numerose associazioni riparatrici, confraternite e nuove congregazioni religiose, in cui la devozione eucaristica assume un ruolo importante. Nell’eucarestia è sottolineata la dimensione sacrificale, cui possono essere associate molte vittime volontarie[72].
Tutto ciò concorre a costituire l’humus umano e spirituale[73] che accompagnò (diresse?) Mons. De Bruillard all’accoglienza positiva dell’apparizione, facendogli superare i dubbi e le contestazioni levatesi contro di essa. Ma, nello stesso tempo, questo humus può rappresentare anche il lato debole dell’approvazione, in quanto Mons. De Bruillard potrebbe essere stato manipolato o ingannato proprio a partire da esso: facendo leva su queste idee, infatti, qualcuno (sia esso un singolo o un gruppo politico-culturale) avrebbe potuto a proprio vantaggio costruire qualcosa (una finta apparizione) che rispondesse o toccasse queste corde, insieme intime di Mons. De Bruillard e condivise a livello sociale dalle comunità cristiane.
È, di fatto, l’argomento utilizzato già dal cardinale De Bonald. Consultato dal nunzio a proposito delle nomine episcopali, egli, dopo aver tentato invano di bloccare Mons. De Bruillard e di farlo recedere dalla volontà di dichiarare veritiera l’apparizione, ne approfitta per ritornare sul fatto de La Salette e, ormai alla vigilia della pubblicazione del decreto di approvazione, scrive:
«Sarebbe auspicabile che Roma non si impegnasse ad esprimere parere favorevole sulla presunta apparizione de La Salette […] Bisogna che Roma si renda conto che il vescovo di questa diocesi ha 86 anni e che oggi un suo pronunciamento ha bisogno di essere pesato con cura […] Bisogna fare attenzione al fatto che i partigiani del barone di Richemont stanno dietro tutto questo e che essi si rifanno al preteso evento de La Salette. Una approvazione, un pronunciamento favorevole dati a questa presunta apparizione che si basa solamente sulla testimonianza di due ragazzi sarebbe una cosa ben incresciosa per la religione. Io non vorrei che la Santa Sede venisse presa di sprovvista»[74].
Lo storico Jacques Olivier Boudon così commenta queste parole:
«Il cardinale arcivescovo di Lione presenta il caso su un altro registro, e cioè l’appropriazione del fatto [de La Salette] da parte dei partigiani del barone di Richemont, che pretende di essere, ricordiamolo, Luigi XVII. In occasione del quarto anniversario dell’apparizione, il 19 settembre 1850, un loro gruppo aveva compiuto il pellegrinaggio a La Salette ed era ritornato a Lione in compagnia di Massimino, con l’intento di fargli incontrare il barone di Richemont. E’ a questi contatti che il cardinale fa allusione. A suo parere, l’approvazione del fatto avrebbe rischiato di rafforzare questa setta “sopravviventista”. Mons. Ginoulhiac tenterà più tardi di distinguere i due fenomeni. E’ sorprendente che Mons. De Bruillard non abbia marcato le distanze da questo tentativo di appropriazione. Lui stesso non era sensibile al messaggio di restaurazione monarchica insito nella dottrina “richemontista”? In ogni caso, la feroce opposizione del cardinale De Bonald al fatto non riesce a frenare la decisione di Mons. De Bruillard di pronunciarsi in favore dell’autenticità»[75].
Effettivamente, questa ricostruzione dei fatti presenta una sua plausibilità e logicità. Ma ha bisogno di essere verificata all’interno del decreto di approvazione: se esso contenesse delle connessioni sostanziali con i timori espressi dal cardinale De Bonald, la probabilità che questi timori rappresentino una realtà sarebbe considerevole.
Ma proprio il decreto di approvazione non contiene nulla di simile. Anzi, esso presenta un dato sostanziale e rilevabile, che si presenta come elemento in controtendenza proprio rispetto a quell’humus per il quale il giudizio di Mons. De Bruillard avrebbe potuto e potrebbe rivelarsi debole e poco consistente (se non addirittura abilmente manipolato e, quindi, infondato e privo di ogni valore ecclesiale), vale a dire il distacco da un paradigmatico ordine sociale cristiano. E come prova ad ulteriore conferma di questo comportamento in controtendenza adottato da Mons. De Bruillard si pone un secondo elemento, anch’esso in dissonanza rispetto alle aspettative dell’ambiente circostante, ossia il modo di intendere la figura dell’apostolo, modello del missionario di Nostra Signora de La Salette.
1.3.1 Il distacco da un paradigmatico ordine sociale cristiano
Il primo elemento in controtendenza è che il messaggio de La Salette non parla di nobili, di Ancien Régime, della città e della politica, dei rapporti tra religione e politica, ma di patate, di uva, di grano, di contadini e carrettieri. È così significativamente assente quanto invece appartiene al nocciolo duro del movimento riparatore, che ritiene essenziale l’esistenza (e la ricostruzione) di una “societas christiana”[76]. Nel decreto di approvazione dell’apparizione, Mons. De Bruillard, parlando dei fini spirituali da essa derivanti, scrive:
«Dal momento che il fine principale dell’apparizione è stato il richiamo dei cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica, tenendo presente i vostri interessi celesti e anche terrestri, noi vi scongiuriamo, carissimi fratelli nostri, a rientrare seriamente in voi stessi, a fare penitenza dei vostri peccati, in modo particolare di quelli che avete commesso contro il secondo e il terzo comandamento di Dio. Vi scongiuriamo, fratelli nostri beneamati: rendetevi docili alla voce di Maria che vi chiama alla penitenza e che, in nome di suo Figlio, vi minaccia di mali spirituali e temporali se indurirete i vostri cuori, rimanendo insensibili ai suoi avvertimenti materni»[77].
Se è vero che la dimensione penitenziale, essenziale nella visione del mondo e della storia tendenzialmente negativa del movimento riparatore, viene qui assunta come prospettiva centrale del discorso, è pur tuttavia altrettanto vero che la forma specifica con cui viene espressa si discosta dalla sensibilità riparatrice. Mons. De Bruillard evita intenzionalmente sia un formulario giuridico che il susseguirsi di immagini a forte impatto emotivo, preferendo invece un linguaggio molto sobrio e improntato all’allusione scritturistica più o meno diretta, che si esprime nell’atto di scongiurare, nell’indurimento del cuore, nella voce/parola che chiama, nel rientrare in se stessi, nel rimanere insensibili, nell’avvertire.
Questo richiamo alla Scrittura si presenta come una costante dell’atteggiamento con cui Mons. De Bruillard si pone di fronte all’evento de La Salette e, come vedremo in particolare più avanti, manifesta anche il grado di autorità con cui egli si vuole pronunciare di fronte all’apparizione, poiché il decreto di approvazione assume come criteri di verità alcune indicazioni neotestamentarie, paoline e lucane in particolare. Inoltre proprio questo linguaggio sobrio e scritturisticamente allusivo manifesta l’assenza vistosa di quello che ci si sarebbe potuti e dovuti aspettare da un uomo, a detta dello storico Boudon[78], impregnato di giansenismo e riparazione (e pertanto sensibile e “manipolabile” su questo fronte): vale a dire il richiamo ad un ordine sociale cristiano paradigmatico e perennemente valido, unito alla restaurazione della monarchia[79].
Questo linguaggio allusivo della Scrittura permette invece al pensiero di svilupparsi senza legarsi a una figura sociale specifica, e così il cammino penitenziale delineato come tratto essenziale della risposta all’apparizione non diviene funzionale alla realizzazione di un progetto particolare, ma conserva la forza creatrice e innovatrice dei simboli con cui si esprime[80]. Ad ulteriore conferma di questo “modus operandi” Mons. De Bruillard, nel successivo decreto di fondazione del santuario e dei Missionari di Nostra Signora de La Salette (primo maggio 1852), scrive:
«A questo punto richiamate alla memoria, carissimi fratelli, l’epoca in cui Maria è apparsa sulla montagna de La Salette. Questa apparizione, il 19 settembre 1846, non è stata forse come una introduzione di ben più grandi avvenimenti? Guardate le agitazioni popolari, i troni rovesciati, l’Europa sconvolta, la società sul ciglio della sua rovina. Chi ci ha preservati e chi ci preserverà ancora da mali più grandi se non Colei che è venuta dall’alto sulle nostre montagne per piantarvi, in qualche modo, un segno di riconoscimento e di salvezza, un faro luminoso, un serpente di bronzo verso cui le anime pie hanno diretto i loro sguardi per allontanare lo sdegno celeste e guarirci da ferite incurabili!»[81].
Qui Mons. De Bruillard, pur riconoscendo la eccezionale gravità di alcune situazioni sociali specifiche e ben definite (e la loro conseguente negatività: “le agitazioni popolari, i troni rovesciati, l’Europa sconvolta, la società sul ciglio della sua rovina”), non solo continua a non propugnare una ermeneutica catastrofista capace di impressionare con la sua forza emotiva, ma utilizza anche la rilettura giovannea del serpente di bronzo esodico in modo sorprendentemente aperto, cioè privo di elementi che lo leghino in modo decisivo ad una particolare visione cristiana della società (visione ovviamente superiore ad altre possibili). Inoltre è la stessa allusione scritturistica da lui scelta ad essere altamente significativa: l’apparizione, una volta inquadrata in essa, non costituisce l’annunzio di un castigo inevitabile[82], ma “un faro luminoso […] per guarire ferite incurabili”, ossia la manifestazione di una misericordia assolutamente gratuita che ricostruisce e ricrea l’essere umano, che solo in una condizione di guarigione (assenza di malattia) può effettivamente prendere in mano le redini della propria vita[83]. In altre parole, la forza simbolica della “guarigione da ferite incurabili” di cui l’apparizione è “faro luminoso” risiede precisamente nella sua indeterminatezza e nella sua universalità. L’indeterminatezza fa appello alla responsabilità di colui che ascolta, che è così invitato a compiere quel cammino di “serio rientro in se stessi” già indicato da Mons. De Bruillard nel decreto di approvazione[84] come costitutivo della risposta all’apparizione, non tanto come sottomissione ad un ordine sociale immutabile (perché di diritto divino), ma come esperienza di vera e propria rinascita. Per parte sua, l’universalità insita nell’immagine della “guarigione da ferite incurabili” sta nel suo essere “cross-cultural”, cioè transculturale: tutti vi si possono accostare e tutti vi possono riconoscere una dimensione essenziale dell’esperienza umana in quanto esistenza polarizzata tra salute e malattia (a differenza invece di una polarizzazione socio-politica che come tale non è transculturale, ma “inner-cultural”, vale a dire interna al dinamismo storico di una specifica cultura e perciò non automaticamente universalizzabile).
Pertanto, le scelte linguistiche di Mons. De Bruillard, anziché porre l’apparizione su un binario centripeto prevalentemente (se non esclusivamente) interno alla Francia, così come avrebbe richiesto l’approccio tipico del movimento riparatore, la espongono ad un inaspettato movimento centrifugo: i fini dell’apparizione da lui enumerati si staccano dalla storia particolare della Francia per aprirsi potenzialmente alla chiesa universale, dal momento che essi sono raggiungibili in ogni luogo dove sia presente un cristiano. Di fatto, l’apparizione richiama i cristiani come tali, non i Francesi come nazione:
«il fine principale dell’apparizione è stato il richiamo dei cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica».
Nel medesimo decreto di fondazione del santuario e dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, Mons. De Bruillard ribadisce quanto già affermato nel documento del 19 settembre 1851 e scrive:
«Non è certo invano che la Madre della misericordia si è degnata di visitare i figli degli uomini [espressione scritturistica e perciò universale]. Non è invano che Ella, alla vista dei disordini che provocano la collera del suo figlio, è venuta come a rifugiarsi nelle nostre montagne [allusione scritturistica al testo di Os 10,8?], a piangere, ad avvertirci dei castighi che ci attendono se non ci convertiamo, se non ci ricordiamo del timore di Dio, del rispetto del suo santo nome [entrambi allusioni scritturistiche tipiche della tradizione sapienziale], della santificazione della domenica, dell’osservanza di tutti i comandamenti di Dio e della sua chiesa [ancora una volta si noti l’assenza vistosa del richiamo alla dimensione politico-religiosa della restaurazione]. Parole discese da così in alto devono avere un’immensa risonanza e devono essere intese da tutte le nazioni, così come il luogo dove Ella si è mostrata doveva essere tanto alto da poter essere visto da tutti i popoli [allusione scritturistica a Is 2, 2-5]. Richiamate a voi stessi l’origine di questo grande avvenimento: guardate la sua nascita pressoché sconosciuta, la sua veloce e rapida diffusione attraverso la Francia e l’Europa [allusione scritturistica alle parabole evangeliche incentrate sul contrasto tra la piccolezza iniziale del Regno di Dio e il suo stadio finale], il suo volo nei quattro angoli del mondo, infine il suo arrivo provvidenziale nella capitale del mondo cristiano [allusione al cammino della parola apostolica secondo gli Atti]. A Dio solo l’onore e la gloria! Noi non siamo stati che un debole strumento della sua volontà adorabile [allusione scritturistica a 1 Cor 1, 27-31] […] Per parte nostra, noi dobbiamo mille volte ringraziare [la Vergine] dell’averci gratuitamente scelti per essere gli araldi della sua gloria [allusione scritturistica sia agli evangeli che al corpus paolino] e della misericordiosa protezione con cui Ella vuole avvolgere per sempre la nostra beneamata diocesi, la nostra cara patria e il mondo intero»[85].
Questa dimensione centrifuga va tenuta presente anche nella fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette: se i fini dell’apparizione oltrepassano la storia della Francia e si estendono alla chiesa universale, sembra logico pensare che lo stesso cammino debbano compiere i sacerdoti incaricati di essere il “perpetuo ricordo della misericordiosa apparizione di Maria”[86]. Il medesimo decreto prosegue:
«La Santa Vergine è apparsa a La Salette per l’universo intero, chi può dubitarne? Ma Ella è apparsa anche in modo particolare per la diocesi di Grenoble, che ne riceve due vantaggi incalcolabili: un nuovo santuario a Maria e un corpo di missionari diocesani. Queste due opere sono state rese possibili dall’apparizione e per sempre esse perpetueranno il ricordo dell’apparizione»[87].
Ora, proprio questa dimensione centrifuga intenzionalmente collocata all’interno di un discorso altamente e costantemente allusivo delle Scritture, sorprendentemente presente nel decreto di approvazione dell’apparizione attraverso la definizione dei fini spirituali dell’apparizione stessa ed egualmente presente nel successivo decreto che annunzia la costruzione del santuario e la fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, testimonia ancora una volta e a suo modo il livello massimo di autorità episcopale esercitato da mons. De Bruillard davanti all’evento de La Salette. Ai suoi occhi di pastore, quanto da lui valutato riguardo l’apparizione riguarda non solo la sua chiesa particolare di Grenoble, ma la chiesa universale. Una simile consapevolezza non può essere disgiunta da un corrispondente livello di autorità impegnata: un evento potenzialmente universale richiede necessariamente il più alto livello di assunzione di responsabilità. Da questo punto di vista, La Salette unisce in sé il massimo della marginalità (si può e si deve essere cristiani senza di essa, perché un’apparizione non appartiene al “depositum fidei”) con il massimo della centralità (l’autorità vi si impegna con tutta se stessa e senza alcuna riserva, poiché un’apparizione è comunque parte integrante della vita della Chiesa in cammino nel tempo e della sua missione essenziale di radunare l’umanità attorno a Cristo[88]).
1.3.1.1 E i segreti?
A questo punto, si impone una osservazione ulteriore: tutto quanto appartiene all’immaginario del movimento riparatore e non è presente nel messaggio lasciato da Maria a Massimino e Melania, si riverserà sui segreti, in particolare quello di Melania, e su tutta la querelle ad essi legata[89]. Si ha così la fondata impressione che la querelle dei segreti nasca anche (se non soprattutto) come tentativo di reinserire in un alveo culturale condiviso e diffuso una realtà che, proprio per il suo essere in controtendenza, non gli si adatta pienamente. Detto in altre parole, la querelle dei segreti testimonia a suo modo quanto l’originalità e/o eccedenza del fatto de La Salette rispetto alle coordinate culturali condivise sia stata difficoltosamente accolta nella vita della Chiesa e quanti ostacoli abbia incontrato il giudizio di Mons. De Bruillard proprio in quello che ha di più specifico, ossia il riconoscimento esplicito di questi elementi in controtendenza e del loro carattere fondativo rispetto a una corretta ricezione dell’apparizione nella vita della Chiesa universale. Questa medesima osservazione va fatta, comunque, nei confronti di tutto il processo con cui l’apparizione è entrata a far parte della vita della chiesa negli anni successivi alla sua approvazione: gli elementi in controtendenza di cui Mons. De Bruillard si è fatto testimone sono stati praticamente riassorbiti all’interno delle coordinate tipiche del movimento riparatore e pertanto privati della loro carica di novità e di creatività[90].
In questo senso, la querelle dei segreti deve essere accostata con una disposizione ermeneutica differente da quella oramai abituale, che recentemente è stata così sintetizzata:
«In verità, La Salette ha due posterità: una saggia, l’altra folle, come le vergini della parabola. Una riconosce ufficialmente l’apparizione della Vergine e suscita il pellegrinaggio, qui controllato da vicino, nel suo epicentro, e là in Bretagna o in missione, moltiplicato a dimensioni potenzialmente universali, cattoliche. L’altra ascolta il messaggio ed è soprattutto attenta in modo febbrile al segreto e a colei che lo porta, lo rivive, lo dice e ridice, soprattutto lo scrive e senza sosta lo riscrive, Melania, Suor Maria della Croce. E il mormorio di questo segreto diventa minaccia di uragano ogni volta che la terra di Francia trema o quando si trova priva di legittimità dinastica. La parola apocalittica di Melania si fa senz’altro intendere con difficoltà, dandosi il cambio con degli oscuri preti che vi apportano un’eco mediocre. Poi vengono degli interpreti più scintillanti, che cercano di parlare per suo conto e soprattutto per proprio conto, Huysmans, Bloy in primo luogo, poi Maritain che nessuno si aspettava qui, Claudel ed ancora Massignon. Strano corteo dove nessuno raggiunge il posto dei tre che emergono, Bloy, Maritain e Massignon, che si ritrovano per definire, ciascuno a suo modo, un essenziale che Roma rifiuta di intendere e, in tutti i casi, di prendere sul serio: una aspra critica del clero, un Dio dalle maniere rudi e guerriere che ammonisce il nostro mondo al fine di ricondurlo a lui, un fascino particolare nei confronti della Vergine in pianto del 1846, annunciatrice dei tempi della malvagità, e un fascino ancor di più nei confronti per la vergine errante [Melania] che, benché abbia fatto cento volte fruttare il suo segreto nel corso di una storia caotica, è rimasta inalterabilmente fedele»[91].
Nè tale querelle deve essere legata primariamente alla personalità dei veggenti e alle loro reali inconsistenze psicologiche,che hanno offerto e tuttora offrono il fianco a pesanti critiche nei confronti dell’apparizione. In relazione a questo specifico aspetto, si ha comunque l’impressione che in tale questione pesi molto l’assunto che solo la santità dei veggenti, santità riconoscibile, riconosciuta e proclamata ufficialmente dalla Chiesa, possa dare la certezza che quanto accaduto il 19 settembre 1846 è vero[92]. È assai significativo in proposito il pensiero di Maritain. In occasione del centenario dell’apparizione, nel 1946, mentre ricopre l’ufficio di ambasciatore di Francia presso il Vaticano, egli
«domanda [alla santa Sede e a mons. Montini in specifico] di “riservare” la questione del Segreto e di portare l’attenzione sulla “vita tutta intera del principale testimone [Melania], sulla sua fedeltà e sulle sue virtù”, che restano per lui la “questione fondamentale” rispetto alla quale tutti “gli altri problemi concernenti l’apparizione de La Salette” sono subordinati»[93].
Ma, come si è avuto modo di rilevare precedentemente, questa non è la strada scelta da Mons. De Bruillard per dichiarare autentica l’apparizione, una strada che a ragione va intesa come percorso obbligato proprio per il livello di autorità con il quale egli si è impegnato nel farlo[94]. Infatti, a rigore di termini, proprio questa fragilità intrinseca dei ragazzi dovrebbe da un lato testimoniare la loro incapacità ad inventare quel che poi hanno riferito (né loro né altri a tavolino avrebbero potuto costruire qualcosa di simile all’apparizione proprio perché essa non funziona secondo il modello ispirato alla sensibilità riparatrice). Dall’altro essa non è in grado di rendere ragione della loro costanza e della loro irremovibilità nel raccontare durante tutto il corso della loro vita senza alterazioni e cambiamenti quanto essi hanno vissuto sulla montagna de La Salette, pur davanti a minacce e sofferenze di vario genere. In definitiva, è proprio questa fragilità di Massimino e Melania a corroborare il riconoscimento che quell’evento viene da “altrove”, condensando così l’irruzione effettiva di una presenza “altra” e totalmente gratuita rispetto a quella dei ragazzi e del loro mondo. E’ quanto stabilito da Mons. De Bruillard: i ragazzi sono solo dei testimoni di cui bisogna verificare l’attendibilità nel senso che essi non hanno ingannato né sono stati ingannati, e rimangono perseveranti in ciò che dichiarano.
La storia dell’apparizione de La Salette offre così il triste spettacolo di un gioco perverso in cui si contrappongono due tendenze specularmente contrapposte a seconda degli orientamenti di partenza e che può essere così esemplificata: più i veggenti sono affetti da insufficienze psicologiche per una parte[95], più sono santi per l’altra parte[96]. L’unico effetto di questa contrapposizione è una stabile (se non crescente) marginalizzazione dell’apparizione nel vissuto della Chiesa.
In realtà, la querelle dei segreti, una volta staccata da queste parziali modalità di approccio, deve essere affrontata come la punta di un iceberg, costituito appunto da una progressiva “immobilizzazione” dell’eccedente individuato da Mons. De Bruillard nell’apparizione e della sua conseguente negazione pratica attraverso il prevalere di motivi ed interpretazioni legate alle coordinate socio-culturali proprie del movimento riparatore, in primo luogo la spiritualità dell’espiazione.
Volendo esemplificare, se per Mons. De Bruillard l’apparizione è, come rilevato, “un faro luminoso […] per guarire ferite incurabili”, emblematico è quanto pronunziato dal suo successore, Mons. Pauliner, appena venti anni dopo, in occasione del pellegrinaggio nazionale a La Salette del 1872:
«Pellegrini venuti dalla capitale, da Parigi, voi siete i soli che preservano dalla distruzione completa la moderna Babilonia e il parafulmine [sic!] che allontana la tempesta e le impedisce di ridurre in cenere quelli tra i vostri monumenti che sono stati risparmiati dalla Comune»[97].
Lo storico Hilaire Multon così commenta questo passaggio:
«Utilizzando un vocabolario ricco di immagini, il prelato sottolinea il ruolo dei pellegrini venuti a pregare la Vergine de La Salette, che consiste nel riscattare le colpe dei non credenti e degli empi. Questo discorso sull’espiazione procede […] da una visione provvidenzialista della storia di Francia. Il padre Picard, assunzionista, evoca questa dimensione nel corso del medesimo pellegrinaggio […] La tradizione della “figlia prediletta della chiesa” appare sullo sfondo del suo discorso che iscrive il riscatto e il perdono in un vasto processo storico. Riscattare le colpe dei razionalisti, dei rivoluzionari, significa fare memoria delle gesta mirabili del popolo cattolico che ha contratto alleanza con Dio»[98].
Poi Multon riporta ancora un passaggio del padre Picard:
«E’ la fede che aveva reso dura quasi come la pietra la nazione francese. Essa aveva forgiato la sua spada nelle mani di Clodoveo, di Carlo magno, di San Luigi, e l’aveva resa invincibile contro l’iniquità. Ma dal giorno in cui questa spada si è rifiutata di uscire dal fodero per riparare l’ingiustizia, essa non ha avuto più ragion d’essere, ed ecco perché si è spezzata tra le nostre mani»[99].
Questa analogia con le crociate non va passata sotto silenzio[100]. Di fatto, Mons. Paulinier, accogliendo la delegazione proveniente dalla Borgogna, dirà ancora:
«Voi, generosi figli della Borgogna, voi arrivate nel giorno di San Bernardo, vostro compatriota, che nel passato spingeva verso i luoghi santi le folle incantate e affascinate dalla sua eloquenza. Voi avete ereditato da lui il gusto della crociate. Non è forse di fatto una crociata il vostro pellegrinaggio a La Salette?»[101].
La crociata è il luogo dove la Francia ha manifestato la sua fedeltà alla missione che Dio le aveva affidato: equiparare il pellegrinaggio a La Salette alle crociate (o quantomeno iscriverlo nel medesimo orizzonte emotivo e simbolico) significava attribuire alle parole della Vergine un invito pressante e decisivo a ritrovare questa vocazione di nazione cristiana destinata dalla Provvidenza a esercitare un ruolo da protagonista nello scorrere della storia.
Tutto ciò è richiamato anche da queste ulteriori parole del padre Picard:
«Sì, La Salette è veramente per noi oggi la montagna della mirra e la collina dell’incenso. Noi vi accorriamo per piangere e per pregare […] Noi vi accorriamo per riconquistare due grandi cose che fecero un giorno la grandezza [letteralmente “grandeur”] della Francia: il sacrificio e l’entusiasmo»[102].
La Salette diviene così il luogo in cui implorare il rinnovamento della nazione, perché tramite questo sia possibile anche il rinnovamento del mondo intero. In occasione del 25° anniversario dell’apparizione, il 19 settembre 1871, Mons. Paulinier aveva affermato:
«Dio ha voluto dare quest’anno una nuova dimostrazione: sono le calamità predette dalla Vergine delle Alpi, sono i terribili segreti affidati ai ragazzi, segreti conosciuti esclusivamente da Pio IX! “Povera Francia!” ha esclamato il papa, profondamente scosso nel leggere queste misteriose minacce. Si sono realizzati questi oracoli? […] Che cosa bisogna fare per scongiurare nuove calamità? Piangere con la santa Vergine, convertirsi e rinnovarsi»[103].
In definitiva, questo tipo di linguaggio è molto vicino a quello del segreto di Melania, che nella quinta e ultima redazione del segreto scrive:
«I capi del popolo di Dio hanno trascurato la preghiera e la penitenza e il demonio ha ottenebrato la loro intelligenza: sono diventati stelle erranti, che il diavolo farà perire. Dio permetterà al serpente antico di seminare divisione tra i regnanti, in tutte le società e in tutte le famiglie; si soffriranno pene fisiche e morali. Dio abbandonerà gli uomini a sé stessi e manderà castighi che si succederanno per più di trentacinque anni [...] Che il Vicario di mio Figlio, il Sommo Pontefice Pio IX, non esca da Roma dopo il 1859; ma sia fermo e generoso, e combatta con le armi della fede e dell'amore; io sarò con lui. Non si fidi di Napoleone: il suo cuore è doppio e quando vorrà essere insieme papa e imperatore Dio si ritirerà da lui; egli è quell’aquila che, volendo sempre innalzarsi, cadrà sulla spada della quale voleva servirsi per obbligare i popoli ad innalzarla. L’Italia sarà punita per l'ambizione di voler scuotere il giogo del Signore dei Signori; per cui sarà abbandonata alla guerra; il sangue scorrerà per ogni dove; le chiese saranno chiuse o profanate; i preti e i religiosi saranno cacciati; li faranno morire e morire di una morte crudele»[104].
Un tale linguaggio è però molto lontano da quello scelto e utilizzato da Mons. De Bruillard[105].
1.3.2 La figura dell’apostolo
Il secondo elemento in controtendenza nel processo globale di ermeneutica dell’apparizione è rilevabile nel modo con cui mons. De Bruillard tratteggia la figura del missionario di Nostra Signora de La Salette[106]. Nel suo pensiero, infatti, l’approvazione dell’apparizione e la fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette sono due tappe di un unico processo, vale a dire il processo di risposta che egli, come vescovo nel pieno esercizio della sua autorità, ritiene di dover dare davanti all’apparizione stessa[107]. Riportiamo nuovamente quanto scritto poco sopra:
«La Santa Vergine è apparsa a La Salette per l’universo intero, chi può dubitarne? Ma Ella è apparsa anche in modo particolare per la diocesi di Grenoble, che ne riceve due vantaggi incalcolabili: un nuovo santuario a Maria e un corpo di missionari diocesani. Queste due opere sono state rese possibili dall’apparizione e per sempre esse perpetueranno il ricordo dell’apparizione»[108].
Nel tratteggiare la figura del missionario si ritrovano elementi che appartengono a quella figura sacerdotale originale che si è affermata a partire dal 1700, che non è né devota né giansenista.
«Iniziata con i chierici riformati della Controriforma, approfondita con i rappresentanti della scuola francese, questa nuova maniera ha la meglio alla vigilia della rivoluzione francese […] Questa nuova figura, tuttavia, ha le sue radici in una teologia che, mentre insiste sulla dimensione sacrificale e gerarchica di tutta la vita sacerdotale, definisce la chiesa come società clericale in opposizione alla società civile. Come stupirsi allora che il modello di santità proposto ai fedeli sia il buon vescovo o il buon sacerdote? Non è forse questo il segno che le virtù che portano alla salvezza trovano i loro esempi nel cuore stesso della funzione gerarchica?»[109].
All’interno di questa scia, nel decreto che istituisce i Missionari di Nostra Signora de La Salette, mons. De Bruillard li definisce come
«sacerdoti, scelti tra molti altri, per essere i modelli e gli ausiliari del clero delle città e delle campagne […] Questo corpo di missionari è come il sigillo che noi vogliamo imprimere alle altre opere che, per la grazia di Dio, ci è stato dato di creare. È, per così dire, l’ultima pagina del nostro testamento: è l’ultimo lascito che vogliamo fare ai nostri amatissimi diocesani»[110].
L’esemplarità sia nei confronti del clero diocesano che di tutti i fedeli cui Mons. De Bruillard fa riferimento, esprime precisamente questo modello di santità principalmente incentrato sul sacerdozio gerarchico (ben altra sarà invece la posizione ecclesiologica e spirituale del Concilio Vaticano II).
Ma non si trova quanto, vista tale premessa, ci si sarebbe potuto e dovuto aspettare a partire dalla centralità dell’eucarestia nel movimento riparatore.
«Nella seconda parte del XIX secolo si assiste alla moltiplicazione delle devozioni e delle opere eucaristiche. Se la rivoluzione francese aveva influenzato la pietà eucaristica della prima metà del secolo, i moti del 1848 e del 1870-71, così come lo sviluppo dell’indifferenza religiosa, la stimolano, a quanto pare, ancora di più. La rivoluzione del 1848 in Francia, nonostante alcune eccezioni locali, non fu anticlericale. Tuttavia, durante la rivolta operaia delle giornate di giugno a Parigi, Mons. Affre, arcivescovo di Parigi, morì sulle barricate nel tentativo di fermare i combattimenti. La rivoluzione a Roma comportò la fuga del papa e l’instaurazione della Repubblica romana (novembre 1848). Il papa fece ritorno a Roma soltanto nell’aprile del 1850. Da questi fatti si può immaginare l’inquietudine dei cattolici e il desiderio di trovare rimedi, che non potevano essere altro che la riparazione e il ritorno alla pratica domenicale […] E’ nella messa domenicale che si trova il vero senso delle nozioni di libertà, uguaglianza e fraternità della Repubblica del 1848: “Che lezione di uguaglianza e di fraternità in questa riunione di ricchi e di poveri, di padroni e servitori, sotto gli occhi del Padre comune, venuti per sentirsi ricordare i loro doveri e riprendere per le loro colpe! Questo è un principio di vera libertà, d’emancipazione dalle cattive inclinazioni, nell’assistenza religiosa – e periodicamente obbligatoria – all’immolazione di un Dio per le creature”»[111].
Eppure, nonostante questo contesto, Mons. De Bruillard non sceglie l’adorazione dell’eucarestia come distintivo di questi uomini, ma la predicazione della parola di Dio: essi sono uomini della Parola di Dio e la loro esistenza si gioca tutta sulla capacità di annunziare questa parola. La scelta dell’adorazione dell’eucarestia sarebbe stata consona anche all’esperienza personale di Mons. De Bruillard. La “Congregation”, da lui diretta, sia nella sua sede centrale di Parigi che in quelle diffuse sul territorio francese, avrebbe infatti giocato un ruolo non di secondo piano nella formazione di personalità significative del movimento riparatore, quale Pauline Jaricot che «ossessionata dai peccati del mondo, con alcuni giovani operai e domestici fonda le Riparatrici del Cuore di Gesù misconosciuto e disprezzato, un’associazione la cui missione è “un’onorevole ammenda in azione”. Oltre a un’attività caritativa e ad un impulso al rinnovamento missionario, ella pone al centro della sua vita e della sua associazione la devozione eucaristica»[112].
Invece, il progetto di regola da lui approntato per questi sacerdoti si muove su un altro piano ed è molto esplicito:
«Il loro fine primario e principale è di venire in aiuto, attraverso le missioni, i ritiri, ecc, ecc, al ministero pastorale. E’ per questo che porteranno il titolo di Missionari diocesani. Essi saranno egualmente incaricati di servire il santuario de La Salette. Potranno essere incaricati della direzione dei seminari minori e dell’insegnamento alla gioventù»[113].
Per parte sua, nel decreto di fondazione Mons. De Bruillard afferma:
«Per quanto importante sia la costruzione di un santuario, c’è qualcosa di ancora più importante: sono i ministri della Religione incaricati di servirlo, di raccogliere i pii pellegrini, di far loro intendere la parola di Dio, di esercitare a loro favore il ministero della riconciliazione, di amministrare loro l’augusto sacramento dei nostri altari, e ad essere per tutti i fedeli dispensatori dei misteri di Dio (1 Cor 4,1) […] E’ un ricordo vivente che noi vogliamo lasciare alle nostre parrocchie, tutte e ciascuna; noi vogliamo rivivere in mezzo a voi, cari fratelli, attraverso questi uomini rispettabili che, parlandovi di Dio, vi faranno ricordare di pregare per noi»[114].
Se si tiene presente l’ordine cronologico di produzione di questi testi, che vede prima il progetto di regola (datato 5 marzo 1852) e poi il decreto che istituisce i Missionari di Nostra Signora de La Salette e la fondazione del Santuario (datato primo maggio 1852), si può ragionevolmente supporre che la sequenza adottata da Mons. De Bruillard per descrivere “i ministri della religione” rifletta una certa gerarchia ancorché implicita, che evidenzia la principalità del ministero della parola. In questa direzione punta anche la citazione della prima lettera ai Corinzi, imperniata sulla figura dell’apostolo: nei primi quattro capitoli della lettera, Paolo presenta infatti l’apostolo come l’uomo della parola e, più in specifico, l’uomo della parola della croce. Questi primi quattro capitoli della prima lettera ai Corinzi costituiscono in effetti il “testo guida” di cui Mons. De Bruillard si è servito per dare corpo ai Missionari di Nostra Signora de La Salette (e contengono anche elementi fondamentali utilizzati per approvare l’apparizione, come si vedrà in seguito).
Nel già menzionato progetto di regola si legge:
«Questa società di preti, destinati a divenire i vostri efficaci ausiliari e che, per diventarlo, fanno il sacrificio della loro persona, della loro posizione vantaggiosa, e abbracciano la vita povera, dura, laboriosa dell’uomo apostolico, richiede il vostro generoso concorso»[115].
La vita povera, dura e laboriosa dell’uomo apostolico sono così descritte da Paolo:
«Ritengo che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti fino ad oggi» (1 Cor 4, 9-13).
Sempre l’apostolo scrive alla comunità di Corinto:
«Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2 Cor 6, 3-10).
E’ innegabile la vicinanza di queste parole con il vissuto di Mons. De Bruillard, cappellano clandestino dei condannati a morte durante il Terrore. Così come è altrettanto innegabile la duplice tensione tra il mondo e il credente/apostolo e tra l’apostolo e la sua comunità che queste parole descrivono (si veda 1 Cor 1, 17.26-29.2,1-8.12-13). Proprio questa duplice tensione si presenta in controtendenza con il nocciolo duro del movimento riparatore, che annovera tra i suoi obiettivi una nuova cristianizzazione dell’ordine sociale e la riproposta di un indiscutibile modello di chiesa, che è la chiesa dell’Ancien Régime, saldamente radicata nella spiritualità dell’espiazione e centrata sul ruolo del clero, che deve suscitare e guidare il sentimento della colpa[116].
«La dimensione riparatrice, inseparabile ormai dall’adorazione eucaristica, si accordava senza problemi con la prospettiva sacrificale che Trento aveva evidenziato, integrando così la violenza nel mistero, per sublimarvela. La fondazione, nel 1652 ad opera di Catherine de Bar, delle Benedettine del Santissimo Sacramento, avrebbe conferito un singolare sviluppo a questa devozione, dato che il loro obiettivo era di onorarne la gloria attraverso “pratiche virtuose di pietà”, ma soprattutto di “offrirsi a Dio come vittime di espiazione, per soddisfare le orribili profanazioni commesse contro questo mistero assolutamente divino” […] La logica sacrificale che vede in Gesù, abbassatosi nel sacramento come già prima nell’incarnazione, la vittima e il sacrificatore – termini preferiti dalla sensibilità oratoriana, da Berulle a Condren – chiede l’offerta delle vittime, offerta che si annulla in una reciprocità d’amore per “gli interessi più puri della gloria di questo mistero”: superamento della violenza, da rivolgere volontariamente su di sé: “soffrendo nel vedere il Figlio di Dio così maltrattato, le anime sante intendevano vendicare su di sé un tale scempio”»[117].
L’immagine dell’apostolo, declinata a partire dai primi quattro capitoli della prima lettera ai Corinzi, si pone perciò come elemento inaspettato e divergente rispetto a quanto le coordinate riparatrici avrebbero suggerito.
1.3.2.1 Ancora una volta, e i segreti?
Questa divergenza dal mondo riparatore evocata dal modo con cui Mons. De Bruillard si lascia ispirare e guidare dalla figura dell’apostolo permette una ulteriore osservazione sulla querelle dei segreti e in particolare sul segreto di Melania. La tensione-scontro aperto tra il mondo con i suoi potentati e la comunità dei veri credenti, così come la tensione interna alla comunità tra veri e falsi cristiani, si presenta come messaggio centrale e decisivo nelle cinque successive redazioni del segreto, esprimendosi con un progressivo crescendo di immagini e notazioni[118]. La stessa figura dell’apostolo viene recuperata all’interno di questo segreto: la veggente de La Salette dovrebbe infatti fondare, per diretta volontà della Vergine, l’ordine religioso degli “apostoli degli ultimi tempi”. Melania infatti scrive:
«Io [Maria Vergine] indirizzo un pressante appello alla terra: io chiamo i veri discepoli del Cristo vivente e regnante nei cieli; io chiamo i veri imitatori del Cristo fatto uomo, l’unico e vero Salvatore degli uomini; io riconosco come miei figli, miei veri devoti, quelli che si sono donati a me perché io li conduca al mio divin Figlio, quelli che io porto, per così dire, tra le mie braccia, quelli che hanno vissuto con il mio spirito; infine io chiamo gli Apostoli degli ultimi tempi, i fedeli discepoli di Gesù Cristo che hanno vissuto nel disprezzo del mondo e di sé stessi, nella povertà e nell’umiltà, nel disprezzo e nel silenzio, nella preghiera e nella mortificazione, nella castità e nell’unione con Dio, nella sofferenza e sconosciuti al mondo. E’ tempo che essi escano e vengano ad illuminare la terra. Andate e mostratevi come i miei cari figli; io sono con voi ed in voi, purchè la vostra fede sia la luce che vi rischiara in questi giorni di sventura. Il vostro zelo vi renda come degli affamati per la gloria e l’onore di Gesù Cristo. Combattete, figli della luce, voi, piccolo numero; perché giunge il tempo dei temi, la fine delle fini»[119].
Si ha così l’impressione di trovarsi di fronte al medesimo solco inaugurato da Mons. De Bruillard. Ma in realtà, si tratta di due scenari profondamente differenti.
Nel segreto di Melania, la tensione-scontro aperto tra il mondo con i suoi potentati e la comunità dei veri credenti rimane essenzialmente debitore verso lo zoccolo duro del movimento riparatore: esso è infatti funzionale all’affermazione di quella “societas christiana” che costituisce il suo obiettivo di fondo.
«Negli ambienti cattolici, la sconfitta della Francia nel 1871 fu vista come una punizione per il disordine della vita pubblica durante i dieci anni del secondo impero. La Comune di Parigi (marzo-maggio 1871), in cui l’arcivescovo Mons. Darboy e molte decine di sacerdoti furono fucilati, rafforzò questa opinione. Ora più che mai bisognava riparare. La riparazione fu allora associata alla devozione al Sacro Cuore, radicata nelle dichiarazioni del Cristo a Margherita Maria Alacoque, a Paray-le-Monial nel XVII secolo. La stessa devozione al Sacro Cuore aveva una forte connotazione eucaristica, dato che ella ebbe alcune delle rivelazioni mentre si trovava davanti al tabernacolo. La devozione al Sacro Cuore, in Francia, alla fine del XIX secolo, ebbe due poli: Montmartre, a Parigi, e Paray-le-Monial […] E’ il periodo dell’Ordine morale, quando si spera di restaurare la monarchia in Francia. In questo clima, la devozione al Sacro Cuore e le sue connotazioni eucaristiche, che si riferivano già alle guerre della Vandea, hanno valenze politiche assai marcate che pesano su di esse ancora oggi […] Padre Drevon fondò a Paray-le-Monial, nel 1876, con il barone Alexis di Sarachaga, la Società del Regno sociale di Cristo attraverso l’Eucarestia, che creò lo “Hiéron”, un museo eucaristico e la rivista Le Règnede Jésus-Christ.Questo ambiente, animato poi da Georges e Marthe de Noaillat, organizzò alcune campagne per l’istituzione della festa del Cristo Re, che arrivarono alla conclusione nel 1924. Troviamo tra questi devoti del Sacro Cuore e dell’eucarestia numerosi creatori di opere sociali, come Léon Harmel, che sognano di ricostruire una società guidata dai principi cristiani»[120].
Nel pensiero di Mons. De Bruillard, questa tensione marca una separazione dalla priorità di ricostruire un ordine sociale cristiano, a beneficio di un ministero della parola come “memoria crucis” da annunciare pubblicamente in un contesto culturale sempre più segnato dalla pluralità dei linguaggi “secolari”, rispetto al quale la medesima “memoria crucis” si presenta, nel solco paolino, come contestazione e come speranza.
Nel segreto di Melania, la ricostruzione della “cristianità” passa attraverso la sottolineatura apocalittico-escatologica[121] di una catarsi-conversione di massa. Ella scrive:
«Guai agli abitanti della terra! Ci saranno guerre sanguinose e carestie; la peste e malattie contagiose; spaventose piogge di animali come grandine; tuoni che distruggeranno le città; terremoti che inghiottiranno le nazioni […] il sangue colerà da ogni parte […] Ecco il tempo; si apre l’abisso. Ecco i re delle tenebre, ecco la bestia e suoi adepti, sedicente salvatore del mondo. Si innalzerà con orgoglio nell’aria per arrivare fino al cielo; sarà respinto dal soffio di san Michele Arcangelo. Cadrà e la terra, che da tre giorni era in continua evoluzione, aprirà il suo seno pieno di fuoco […] Allora l’acqua e il fuoco purificheranno la terra e consumeranno tutte le opere dell’orgoglio degli uomini: Dio sarà servito e glorificato»[122].
Una simile conversione di massa non viene però guidata dalla istituzione clericale, centrale nel movimento riparatore e nella spiritualità dell’espiazione, in quanto depositaria del sacrificio espiatorio supremo: l’eucarestia. Al contrario, il clero viene violentemente attaccato:
«I preti, ministri del mio Figlio, i preti, per la loro vita malvagia, per la loro irriverenza e la loro empietà nel celebrare i santi misteri, per amore del denaro, per amore dell’onore e dei piaceri, i preti sono diventati cloache di impurità. Sì, i preti richiedono vendetta, e la vendetta è sospesa sulle loro teste. Guai ai preti e alle persone consacrate a Dio che, per la loro infedeltà e la loro vita malvagia, crocifiggono di nuovo il mio Figlio! I peccati delle persone consacrate a Dio gridano al Cielo e domandano vendetta, ed ecco che la vendetta è alla loro porta perché non si trova più una persona che implori misericordia e perdono per il popolo; non ci sono più anime generose, non ci sono più persone degne di offrire la Vittima senza difetti all’Eterno, in favore del mondo»[123].
Essa è piuttosto il frutto dell’opera di ordini religiosi purificati dalle nefandezze materialiste del passato, profondamente e radicalmente rinnovati rispetto a quelli tradizionali, a totale servizio di questa salvezza imminente, collettiva e terrena. Così, per Melania,
«l’età dello Spirito evocata sulla montagna de La Salette non è così lontana dalla “terza età” tale e quale la descrive la spiritualità gioachimita […] La veggente [Melania] si afferma come la depositaria degli ultimi preparativi della fine del mondo, incontrando il favore del rivolgimento politico e spirituale degli anni che seguono alla sconfitta del 1870 e alla Comune. Ella si inscrive, in certa misura, nella posterità di Gioacchino da Fiore, il quale fa poggiare il rinnovamento della fede sulla fondazione di ordini religiosi depurati dalle scorie materialiste del passato»[124].
Solamente questa escatologica conversione di massa risponde alle esigenze riparatrici, penitenziali ed espiatorie del messaggio de La Salette:
«I giorni seguenti alla sconfitta del 1870 davanti alla Prussia, segnati dall’umiliazione di Sedan, sono caratterizzati dalla moltiplicazione di opere esoteriche evocanti delle profezie più o meno antiche e più o meno conosciute. I loro autori, sacerdoti radicati nel mondo rurale, spesso molto eruditi, ricercano nella Bibbia i testi e le scritture che permettono loro di sondare l’avvenire, al fine di rassicurare i loro contemporanei […] In effetti, il testo dell’Apocalisse di San Giovanni è recuperato da alcune frange del cattolicesimo. Esso viene così sottomesso a un’interpretazione che si appoggia sui tragici avvenimenti del tempo presente, i quali incarnano e realizzano le predizioni annunciate da “Colei che piange” a La Salette nel 1846. Questo annunzio della fine dei tempi, fondato sul testo giovanneo, si articola con l’appello in favore del rinnovamento e della rigenerazione della fede cattolica, che si è fuorviata negli “errori del secolo” individuati e specificati dal papa Pio IX nel testo del Syllabus […] Bisogna così mostrare […] l’imminenza di un rivolgimento profondo dell’ordine politico, sociale e religioso. Nel senso stretto del termine, questi scritti […] immettono tra i fedeli un millenarismo diffuso, essendo questi ultimi portati a considerare le sciagure del tempo presente come i segni dell’Apocalisse»[125].
Nello stesso tempo, una simile conversione di massa possiede il potere di restituire ad una Francia “poenitens et devota” quel ruolo guida provvidenziale che le compete, ma che il mondo nato dalla Rivoluzione del 1789 le nega con sempre maggiore violenza. In questo solco si inserisce anche l’opera di Émilie Tamisier con i congressi eucaristici internazionali. Il comitato del congresso di Lilla (1881) così ne definì le finalità:
«L’Opera dei congressi eucaristici ha l’obiettivo di fare conoscere sempre di più, amare e servire nostro Signore Gesù Cristo nel santissimo sacramento dell’altare, attraverso solenni riunioni sociali e periodiche, e di fare in modo di estendere il suo regno sociale nel mondo intero. In ogni congresso, questo fine è perseguito in due modi: 1) con le preghiere, le comunioni, le adorazioni, gli omaggi solenni resi al Re dei re, e soprattutto con la manifestazione finale, che è un atto pubblico, splendido e, se possibile, nazionale di riparazione e d’amore nei confronti del santissimo sacramento; 2) con sessioni in cui si studiano i processi migliori da utilizzare per ravvivare e allargare la devozione alla santa eucaristia in ogni forma autorizzata dalla Chiesa […] La situazione attuale della società cristiana è tale da ispirare vivo allarme. Già fortemente scossa, da molti anni, dalla rivoluzione, essa oggi è minacciata da misure sataniche, che hanno l’obiettivo di scristianizzare il popolo, non solo in Francia, ma anche in altri paesi. Non c’è più istruzione religiosa a scuola, non ci sono più sacerdoti e non ci sono più chiese […] C’è necessariamente bisogno di un intervento divino straordinario […] Il modo migliore è diffondere il più possibile le opere eucaristiche, ossia ciò che è più adatto a portare l’uomo a recuperare la vita e a soddisfare, allo stesso tempo, la giustizia di Dio»[126].
Di fatto,
«in reazione alla laicizzazione, all’anticlericalismo e all’indifferenza, alcuni ferventi cristiani, uomini e donne, vollero non solo la conversione dei cuori, ma anche la proclamazione sociale, pubblica, della fede, in modo parallelo a quello delle ideologie avverse […] Questi primi congressi risentono dei problemi politici del tempo, soprattutto quelli francesi, così come della teologia eucaristica di allora. I cattolici avrebbero voluto arrestare la secolarizzazione della società e restituire il suo ruolo alla regalità sociale di Gesù Cristo […] Dato che i nemici della religione vogliono ridurre la fede a una questione privata, i congressi si affermano come una grande manifestazione popolare in cui Gesù-ostia è mostrato alla folla, possibilmente in una pubblica via»[127].
Nel pensiero di Mons. De Bruillard, invece, il riconoscimento dell’apparizione come evento provvidenziale non conduce dentro il “mondo” ancorato ai presupposti agostiniani della società medievale (che trovava il suo ideale nell’unità tra lo stato e la chiesa[128]), mondo in cui il ritorno alle sorgenti provvidenziali della storia di Francia e l’esaltazione della “gesta Dei per Francos” costituisce il tema principale[129]. Né conduce dentro un modello organizzativo specifico della comunità cristiana, o tantomeno ipotizza una conversione escatologica dell’umanità, ma apre piuttosto ad una dimensione universale caratterizzata, come abbiamo visto, dal dinamismo della parola di Dio che è sempre in movimento per raggiungere tutti i popoli ed offrire loro l’esperienza della rinascita senza legarsi ad un ordine sociale specifico.
In altre parole, ciò che Mons. De Bruillard rileva nell’apparizione de La Salette non è modellabile sull’assunto riparatore di una cristianità in stato d’assedio:
«Quando, dopo il 1815, trionfa la controrivoluzione, negli ambienti cattolici viene a crearsi una particolare mentalità, il cui peso si farà sentire in tutta la storia religiosa del secolo XIX, in forza della quale si condanna la società moderna originata da una rivoluzione, definita come satanica. Ancora sotto l’incubo del Terrore, clero e fedeli temono un ritorno di fiamma provocato dall’azione dei liberali, volteriani e borghesi, fedeli alla Rivoluzione e ostili alla Chiesa. Si sviluppa così una mentalità da assediati e una frattura dai propri contemporanei»[130].
Piuttosto, la sua insistenza sul dinamismo missionario non si appoggia sull’eucarestia quale sacrificio supremo di espiazione, ma sulla parola che scongiura, chiama, avverte, muove a rientrare in se stessi[131].
Volendo finalmente trarre una conclusione di ordine generale, è perciò non solo possibile ma doveroso riconoscere che non sono stati i veggenti (e Melania in particolare) a rendere ambigua la mariofania de La Salette, ma essi sono stati le prime vittime del ruolo che la progressiva ricezione-inculturazione nella vita della Francia ha fatto assumere all’evento del 19 settembre 1846: un ruolo diverso da quello che Mons. De Bruillard aveva individuato con il decreto di approvazione e la fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette.
2. Il decreto di approvazione approntato da Mons. De Bruillard
Abbiamo già riportato nel corso di questo studio diversi brani del decreto di approvazione dell’apparizione, voluto e preparato da Mons. De Bruillard al termine di cinque lunghi anni di studio e di indagine sul fatto de La Salette. In queste citazioni si è già avuto modo di apprezzare l’originalità dell’approccio di Mons. De Bruillard, ma manca ancora uno sguardo sistematico su questo documento, che permetta di valutare in pienezza il fondamento teologico posto al livello di autorità (e quindi di ecclesialità) che questo stesso decreto intende esprimere come risposta ufficiale ed essenzialmente adeguata a quanto accaduto il 19 settembre 1846.
2.1 L’elaborazione del criterio di verità dell’apparizione
Il punto di partenza (e insieme di arrivo) di Mons. De Bruillard è la ricerca di un livello di credibilità adeguato all’evento:
«Noi abbiamo dovuto per lungo tempo mostrarci scettici nell’ammettere come incontestabile [corsivo nostro] un evento che sembrava così meraviglioso. La nostra precipitazione non sarebbe stata solamente contraria alla prudenza che il grande Apostolo raccomanda ad un vescovo, ma avrebbe naturalmente fortificato le prevenzioni dei nemici della nostra fede e di tanti cattolici che lo sono, per così dire, solo di nome. Così, mentre una grande folla di anime pie accoglieva questo fatto con un grande coinvolgimento, noi ricercavamo con cura tutti i motivi che sarebbero stati capaci di farcelo rigettare [corsivo nostro], nel caso non dovesse essere approvato»[132].
Questo livello di credibilità viene raggiunto nel momento in cui viene individuato un criterio ermeneutico capace di far cadere tutti i motivi che sarebbero stati capaci di giustificare la non approvazione del fatto. Primo passo di Mons. De Bruillard è perciò il collocarsi all’interno di una tradizione specifica riguardante il suo ruolo e compito di vescovo, tanto che più in là egli ribadisce: «noi avevamo il dovere della più severa circospezione, principalmente a causa della nostra qualità di primo Pastore»[133].
Questa collocazione consente di delineare il punto di vista da cui guardare l’evento de La Salette; e nello stesso tempo ne indica la qualità e la natura che dovrà essere esaminata ed eventualmente dichiarata vera: vale a dire la sua specificità di fatto religioso, e la sua conformità alla vita di fede. Un approccio esclusivamente scientifico non è in grado di dare ragione dell’accaduto, dal momento che un’apparizione è per definizione qualcosa che va “oltre” le leggi naturali (esattamente come la resurrezione, che eccede infinitamente ogni dato fisico e naturale). Proprio per questo, Mons. De Bruillard evita in tutto il decreto di definire cosa vada inteso per apparizione. Lo storico Louis Bassette osserva:
«Quanto alle apparizioni, se le autorità ecclesiastiche sono abilitate a decidere se vi sia stata o meno un’apparizione, nessuno però ha mai percepito il mistero che le avvolge. E’ quanto Mons. D’Hulst esprimeva con una rara bonomia: “Le apparizioni sono senz’altro ed essenzialmente un fenomeno soggettivo. Là dove un’apparizione è dichiarata reale e di provenienza divina, vale a dire quando viene scartato il caso di un’allucinazione, la causa del fenomeno soggettivo è, in ultima analisi, la potenza di Dio. Ma se questa potenza di Dio si eserciti direttamente sull’immaginazione del soggetto per produrvi una rappresentazione sensibile, o si eserciti indirettamente attraverso la mediazione di una forma creata, questo è impossibile deciderlo”»[134].
Per Mons. De Bruillard, l’assenso alla verità dell’apparizione de La Salette (“ammettere come incontestabile”)[135] non deriva quindi da argomenti di natura esclusivamente scientifico-razionale, ma dalla sua conformità al paradigma inaugurato dall’evento Cristo. Detto in altre parole, la verità dell’apparizione de La Salette non dipende dalla capacità scientifica di esplicare, passo dopo passo, quanto è avvenuto. Sussiste sempre l’illusione che un discorso scientifico possa dare la certezza che quel che hanno visto Massimino e Melania era un corpo risorto; o possa dirci cosa sia un corpo risorto e quali siano le sue proprietà, o possa assicurarci che le parole riferite dai ragazzi sono le medesime parole pronunciate dalla Bella Signora. È, nel fondo, la medesima illusione (questa volta consegnata alla scienza) già rilevata nella tendenza a santificare sempre più i veggenti proprio per essere tranquilli e sicuri che la loro testimonianza è autentica e può essere pertanto accolta e vissuta nella Chiesa. Al contrario, tale verità dipende dalla sua capacità intrinseca di evocare il mistero del Cristo vivente in mezzo ai suoi. Le uniche motivazioni in grado di impedire l’assenso all’apparizione (“tutti i motivi che sarebbero stati capaci di farcelo rigettare”) devono perciò essere di ordine teologico.
2.1.1 Il ruolo del vescovo: testimone di Cristo
Mons. De Bruillard sceglie allora di confrontarsi e di ispirarsi alla figura del responsabile primo di una comunità cristiana così come emerge dalle pastorali paoline, in particolare la seconda lettera a Timoteo, che viene direttamente riportata nel decreto di approvazione sia con il metodo della citazione diretta che dell’allusione[136]. La scelta non è casuale, ma altamente significativa, per diversi aspetti, tenendo presente che la compresenza della citazione e dell’allusione indica un approccio olistico: è l’insieme della lettera che viene preso in considerazione per affrontare l’evento de La Salette. Sarebbe perciò un errore metodologico quello di fermarsi alla pura citazione della lettera, senza considerare né il micro né il macro contesto in cui essa si inserisce e da cui prende il suo senso: la Scrittura non viene utilizzata da Mons. De Bruillard come insieme di citazioni potenzialmente staccabili e su cui poggiarsi per poter costruire una “prova teologica”, ma in modo diverso, vale a dire come lo snodarsi di un pensiero e di un’esperienza capace di illuminare le diverse situazioni della vita[137].
Il primo aspetto che deriva da questa modalità di approccio e di utilizzo della Scrittura è che la figura del responsabile della comunità cristiana che emerge dal testo paolino è quella di un uomo segnato dalla sofferenza che deriva dall’annuncio fedele del vangelo: «Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla grazia di Dio» (2 Tim. 1, 8). Come già rilevato precedentemente, queste parole (come quelle delle lettere ai Corinzi)[138] sono molto vicine al vissuto personale del cappellano dei condannati a morte durante il Terrore.
Inoltre, le lettere pastorali evocano una situazione di crisi su un duplice versante, sia interno alla comunità cristiana che esterno ad essa, rispetto a cui il responsabile deve confrontarsi ed agire. Mons. De Bruillard intende inserirsi anche all’interno di questa situazione, dal momento che egli descrive analogamente il contesto dell’apparizione e del suo agire personale (“la nostra precipitazione non sarebbe stata solamente contraria alla prudenza che il grande Apostolo raccomanda al vescovo, ma avrebbe naturalmente fortificato le prevenzioni dei nemici della nostra fede e di tanti cattolici che lo sono, per così dire, solo di nome”).
Non va poi dimenticato il forte orientamento cristologico di questi scritti: il responsabile della comunità cristiana è colui che, in una situazione di crisi interna ed esterna, annunzia la grazia della «apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo, del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e maestro» (2 Tim, 1, 10-11)[139].
Questo è il quadro d’insieme che spiega la citazione esplicita della seconda lettera a Timoteo che Mons. De Bruillard inserisce nel decreto:
«Noi abbiamo anche meditato spesso, ai piedi dell’altare, queste parole che il grande Apostolo indirizzava ad un santo Vescovo cui aveva imposto le mani: Se noi manchiamo di fede, la nostra incredulità non impedisce che Dio non rinneghi affatto sé stesso in quello che annuncia: “Se noi manchiamo di fede, egli però non può rinnegare sé stesso (2 Tim. 2, 13). Ripeti queste raccomandazioni ai fedeli, e rendi testimonianza alla verità davanti al Signore. Non perdere tempo per questo in dispute, che non giovano a nulla se non alla perdizione di chi ascolta (2 Tim. 2, 14-15)”»[140].
Si noti come anche come il contesto di questa esplicita citazione fa riferimento alla vita dura e laboriosa dell’apostolo il cui distintivo è l’annunzio della Parola: «Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola di verità» (2 Tim. 2, 15). Questo fatto rafforza la convinzione di trovarsi di fronte a dei veri e propri testi guida che Mons. De Bruillard ha ritenuto di utilizzare per dare una risposta adeguata all’evento de La Salette. La citazione in sé, poi, è decisiva ad un duplice livello, perchè l’affermazione della fedeltà di Dio che non rinnega se stesso pone il quadro nel quale inserire l’apparizione e perché il richiamo al gesto dell’imposizione delle mani dilata l’orizzonte sull’azione dello Spirito Santo.
2.1.2 Le apparizioni nella storia della salvezza realizzata in Cristo
L’apparizione de La Salette è, secondo Mons. De Bruillard, parte di una storia: la storia della salvezza che Dio intesse con il suo popolo e che raggiunge il suo vertice decisivo in Cristo Gesù. La Scrittura testimonia diverse apparizioni[141], e sullo sfondo si intravede 2 Tim. 3,15-16, che parla esplicitamente del ruolo della Scrittura stessa nell’agire del credente (e a ben più forte ragione del responsabile di una comunità): «Fin dall’infanzia conosci le Sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona».
La Scritturatestimonia ed offre al credente le modalità con cui Dio interviene nella storia (il “codice proprio” del suo agire) e la prospettiva in cui deve essere collocato e colto questo agire di Dio testimoniato ed offerto dalla Scrittura non è quella dell’archeologia, ma dell’attualità: la Scrittura dice non come Dio agiva nel passato, ma come Egli agisca qui e adesso senza rinnegare ciò che ha già compiuto, dal momento che l’opera di Dio è una sola. Tra le differenti modalità che costituiscono il codice proprio dell’agire di Dio le apparizioni non sono da escludere, perché è la Scrittura stessa a ricordarle. Pertanto Mons. De Bruillard può affermare:
«Noi sappiamo, del resto, che la religione di Gesù Cristo non ha minimamente bisogno di questo fatto [l’apparizione de La Salette] per stabilire la verità di mille altre apparizioni celesti che uno non potrebbe rigettare senza una disposizione di empietà e di bestemmia nei confronti dell’Antico e del Nuovo Testamento [corsivo nostro] […] D’altra parte noi eravamo strettamente tenuti a non ritenere impossibile un evento che il Signore (chi potrebbe negarlo?) avrebbe ben potuto permettere per farvi risplendere la sua gloria; poiché il suo braccio non si è raccorciato [allusione al motivo profetico del braccio del Signore] e la sua potenza è la medesima oggi che nei secoli passati»[142].
Affrontare l’apparizione de La Salette significa esaminare se essa sia il frutto della fedeltà di Dio, e quindi se essa corrisponda al “codice proprio” di tale fedeltà così come esso si delinea nella Scrittura. Proprio per questo e nello stesso tempo, affrontare l’apparizione de La Salette significa inserirla nel mistero di Cristo di cui essa va considerata parte (“la religione di Gesù Cristo”), mistero che esprime in pienezza la potenza di Dio (“il suo braccio non si è raccorciato e la sua potenza è la medesima oggi che nei secoli passati”). Il procedimento qui delineato garantisce il fatto che le apparizioni in genere e l’apparizione de La Salette in specie siano una realtà subordinata e non principale nella vita della Chiesa. Invertire questo ordine vorrebbe dire tradire la testimonianza della Scrittura. Ma, nello stesso tempo, rimanere in una attitudine esclusivamente negativa davanti a questi fenomeni equivarrebbe ad un medesimo tradimento della testimonianza scritturistica. I due estremi del marcionismo (eliminazione dell’Antico Testamento a beneficio di un Nuovo Testamento rivisto e corretto “ad hoc”) e del kantismo (la religione nei limiti della pura ragione) sono sempre da evitare per apprezzare la vitalità dell’esperienza di fede.
E’ al livello dell’inserimento dell’apparizione nel mistero di Cristo che si situa la saldatura tra l’orizzonte aperto dalla seconda lettera a Timoteo e quello in particolare dei primi quattro capitoli della prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi. Entrambi i testi, infatti, suggeriscono che la pienezza del mistero di Cristo e della potenza di Dio si attua nel dono e nelle opere dello Spirito Santo, cui Mons. De Bruillard aveva alluso ricordando il gesto dell’imposizione delle mani (“queste parole [relative alla fedeltà di Dio in Cristo] che il grande Apostolo indirizzava ad un santo Vescovo cui aveva imposto le mani”) e la prudenza richiesta al vescovo (“la nostra precipitazione […] sarebbe stata solamente contraria alla prudenza che il grande Apostolo raccomanda ad un vescovo”), prudenza che è eco della saggezza richiamata in 2 Tim 1, 7: «Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza».
2.1.3 Le opere dello Spirito Santo
Poco prima di citare il testo di 2 Tim 13-15 e dopo aver alluso alla saggezza-prudenza dono dello Spirito alla luce di 2 Tim 1, 7, Mons. De Bruillard aveva continuato a descrivere l’azione di quest’ultimo come capacità di silenzio attento e interpretativo, attualizzando così il pensiero paolino:
«È vero, il nostro silenzio non era effetto di un vano timore che avrebbero potuto ispirarci le dichiarazioni di alcuni spiriti che irretiscono la Francia davanti a questo fatto come davanti a tanti altri fatti che interessano la religione. Questo silenzio deriva dall’avvertimento dello Spirito Santo, che insegna che colui che crede con troppa precipitazione è uno spirito inconsistente: “Chi si fida con troppa facilità è di animo leggero” (Sir 19, 4)»[143].
E’ in questo quadro che si pone il richiamo all’imposizione delle mani operato da Mons. De Bruillard. In sé esso è un’allusione a 2 Tim 1, 6; ma ciò che il vescovo di Grenoble aggiunge immediatamente dopo fa ragionevolmente supporre che esso ecceda la realtà specifica cui allude[144]. Infatti si legge:
«Durante il tempo in cui il nostro dovere e ufficio episcopale ci faceva obbligo di temporeggiare, di riflettere, di implorare con fervore la luce dello Spirito Santo, il numero dei fatti prodigiosi che venivano resi pubblici dovunque andava sempre crescendo. Si annunciavano guarigioni straordinarie [corsivo nostro],operate in diverse parti della Francia e all’estero, in paesi anche molto lontani. Si trattava di malati senza speranza e condannati dai medici a una morte vicina o a delle infermità perpetue, che si diceva restituiti ad una salute perfetta a seguito dell’invocazione di Nostra Signora de La Salette e dell’uso che essi avevano fatto dell’acqua di una fontana sulla quale la Regina del Cielo era apparsa ai due giovanissimi pastori [corsivo nostro]»[145].
L’accostamento del gesto simbolico dell’imposizione delle mani con la realtà delle guarigioni evoca un contesto molto più ampio, che riprende insieme le tradizioni evangeliche e le tradizioni confluite nell’opera lucana. Esse fanno riferimento all’azione del Gesù terreno e all’operato degli apostoli nella chiesa nascente: lì l’imposizione delle mani diventa il segno dell’effusione e dell’azione dello Spirito Santo. Lo Spirito di Gesù guarisce, libera, salva. La presenza e l’azione dello Spirito sono un dato costante dell’esperienza apostolica e della nascente esperienza cristiana. Richiamando i primi quattro capitoli della prima lettera ai Corinzi[146], vi si può leggere la testimonianza di Paolo:
«la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio […] Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato» (1 Cor 2, 4-5.12).
L’attenzione di Mons. De Bruillard si ferma quindi sulla realtà dello Spirito quale potenza di Dio in atto: è infatti nell’azione dello Spirito che si manifesta la salvezza operata da Cristo. Affrontare l’apparizione de La Salette significa allora esaminare la sua conformità all’azione potente dello Spirito[147]. E quale paradigma dell’azione potente dello Spirito, Mons. De Bruillard, oltre al dato ribadito dalle lettere paoline, si ispira ai racconti dell’opera lucana[148], dove il segno della guarigione[149] assume un ruolo centrale tanto nel vangelo che negli Atti degli Apostoli. Come esplicitazione di questo orientamento, il vescovo di Grenoble richiama un’immagine esplicitamente lucana: il dito di Dio (Lc 11, 14-23). Egli scrive: «tutte le circostanze e le conseguenze [dell’apparizione] si riuniscono per mostrarci il dito di Dio»[150].
In questo suo modo di procedere, Mons. De Bruillard è ben lontano da una teologia “naif”, o da una spiritualità esacerbatamene rigorista e venata di provvidenzialismo[151], dal momento che il suo ragionamento raggiunge e ritrova i fondamenti stessi della Chiesa. La Chiesa esiste in virtù dell’azione potente dello Spirito, un’azione che si manifesta in parole e segni, sulla scia della stessa condotta di Gesù. Mons. De Bruillard sembra qui debitore di una cristologia e di una ecclesiologia capace di combinare sinteticamente gli orientamenti paolini con quelli risultanti dall’insieme dei vangeli e dall’opera lucana: la Chiesa esiste lì dove lo Spirito rende attuali i gesti terreni del crocifisso risorto, anche se nella sofferenza e nel contraddittorio con i falsi discepoli da un lato e con il mondo ostile dall’altro, in un continuo movimento centrifugo di espansione missionaria[152].
In altre parole, ciò che Mons. De Bruillard rileva è il medesimo movimento descritto in modo particolare negli evangeli e negli Atti: essi uniscono infatti la predicazione della Parola con i segni di guarigione e di liberazione (che ne costituiscono la certificazione di autenticità). Allo stesso tempo, questi racconti evidenziano il movimento della folla, che si dirige verso Gesù e verso gli apostoli, come parte integrante di questo dinamismo di liberazione e di salvezza.
Mons. De Bruillard rileva nell’apparizione de La Salette questo medesimo movimento:
«Un altro fatto che ci è sembrato appartenere al prodigioso è l’affluenza, difficilmente credibile e tuttavia al di sopra di ogni contestazione, che ha luogo su questa montagna nei diversi periodi dell’anno, ma specialmente nel giorno anniversario dell’apparizione, affluenza che diviene sempre più sbalorditiva sia per la lontananza del luogo che per le altre difficoltà che presenta un tale pellegrinaggio [corsivo nostro]»[153].
La rilevazione congiunta delle guarigioni e dell’affluenza della folla rappresentano così, per Mons. De Bruillard, l’espressione concreta dell’azione potente dello Spirito che fa nascere la Chiesa: sono il dito di Dio attraverso il quale Gesù continua a far giungere in mezzo agli uomini il regno di Dio, dal momento che la Chiesa esiste per annunciare nelle parole e nelle opere questo regno.
2.2 Il criterio di verità dell’apparizione: una sintesi
Volendo riassumere il cammino fin qui compiuto, il criterio teologico della verità dell’evento de La Salette così come emerge dal decreto di approvazione elaborato da Mons. De Bruillard è il seguente: l’apparizione è vera e credibile in quanto riproduce il mistero stesso di Cristo e della Chiesa. La Chiesa, infatti, è il luogo dell’annuncio della Parola di Dio, testimoniata dalla Scrittura; è la comunità animata dallo Spirito di Gesù che guarisce, libera e salva; è il luogo dove si manifesta la potenza del regno di Dio, aperto a tutti coloro che desiderano farvi parte. Se l’apparizione non fosse in grado di riprodurre i dinamismi attraverso cui nasce e si forma la Chiesa, essa sarebbe decisamente falsa. Ovviamente il dinamismo di nascita della Chiesa cui Mons. De Bruillard fa riferimento non è e non può essere di natura sociologica: si tratta di un dinamismo soteriologico, dipendente dalla libertà divina fedele a sé stessa nella sua storia di salvezza in mezzo all’umanità[154]. È in questo senso allora che egli scrive:
«Noi sappiamo che non sono mancati degli oppositori. Quale verità morale, quale fatto umano o anche divino non ne ha avuti? Ma per modificare la nostra convinzione su un avvenimento così straordinario, così inspiegabile senza il riferimento all’intervento divino, di cui tutte le circostanze e le conseguenze si riuniscono per mostrarci il dito di Dio, ci sarebbe stata necessità di un fatto contrario, anch’esso straordinario, anch’esso inesplicabile come quello de La Salette, o che almeno esplicasse quest’ultimo in modo naturale; ora è proprio questo che non abbiamo trovato, e noi pubblichiamo apertamente la nostra convinzione»[155].
Ciò che non può essere spiegato con cause essenzialmente naturali è proprio la nascita della Chiesa, dal momento che questa nascita è un atto divino che non può essere manipolato ma soltanto riconosciuto ed accolto con gioia e speranza. Pertanto Mons. De Bruillard afferma:
«Considerando, in primo luogo, l’impossibilità in cui ci troviamo di spiegare il fatto de La Salette in maniera altra rispetto all’intervento divino, qualunque modalità trovassimo, sia nelle sue circostanze, sia nella sua finalità essenzialmente religiosa; considerando, in secondo luogo, che ciò che di meraviglioso è seguito al fatto de La Salette è la testimonianza di Dio stesso, che si manifesta attraverso i miracoli, e che questa testimonianza è superiore a quella degli uomini e alle loro obiezioni; considerando che questi due motivi, presi separatamente e a più forte ragione riuniti insieme, devono dominare tutta la questione e togliere ogni specie di valore alle pretese e alle supposizioni contrarie di cui noi dichiariamo di avere una perfetta conoscenza; considerando infine che la docilità e la sottomissione agli avvertimenti del cielo possono preservarci da nuovi castighi dei quali siamo minacciati, mentre una resistenza troppo prolungata può esporci a dei mali senza rimedio […] Noi enunciamo quel che segue:
1. Dichiariamo che l’apparizione della Santa Vergine a due pastori, il 19 settembre 1846, su una montagna della catena delle Alpi, situata nella parrocchia de La Salette, soggetta alla giurisdizione dell’arciprete di Corps, porta in sé stessa tutti i caratteri della verità, e che i fedeli hanno fondate ragioni per crederla indubitabile e certa.
2. Riteniamo che questo Fatto acquisisca un nuovo livello di certezza per il concorso immenso e spontaneo dei fedeli sul luogo dell’apparizione, oltre che per la moltitudine di prodigi che hanno seguito questo avvenimento e della cui maggioranza è impossibile dubitare senza violare le regole della testimonianza umana.
3. Per questo, volendo testimoniare a Dio e alla gloriosa Vergine Maria la nostra viva riconoscenza, noi autorizziamo il culto di Nostra Signora de La Salette. Noi autorizziamo la predicazione su questo grande avvenimento e di enunciarne le conseguenze pratiche e morali che ne risultano. […]
7. Dal momento che il fine principale dell’apparizione è stato di richiamare i cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della Chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica, noi vi scongiuriamo, carissimi fratelli, in vista dei vostri interessi celesti e egualmente terreni, di rientrare seriamente in voi stessi, di fare penitenza dei vostri peccati e particolarmente di quelli che avete commesso contro il secondo e il terzo comandamento di Dio. Vi scongiuriamo, fratelli nostri beneamati: rendetevi docili alla voce di Maria che vi chiama alla penitenza e che, in nome di suo Figlio, vi minaccia di mali spirituali e temporali se indurirete i vostri cuori, rimanendo insensibili ai suoi avvertimenti materni»[156].
Se il criterio teologico enunciato da Mons. De Bruillard per elaborare un simile giudizio è la conformità al mistero della Chiesa nelle sue dimensioni genetiche ed essenziali, si comprende come anche il grado di autorità impegnato sia il massimo possibile al medesimo livello teologico, dal momento che esso si rivolge a tutte le comunità non in quello che hanno di accessorio e di periferico nella loro vita, ma piuttosto in quelle che sono le loro stesse radici e la loro stessa missione: annunciare con la potenza dello Spirito il regno di Dio a tutte le genti. Si accoglie La Salette, allora, nella misura in cui si ritorna alla sorgente vitale da cui la Chiesa nasce e in cui la Chiesa rimane per poter vivere: di questa sorgente vitale l’apparizione è insieme memoria e profezia; e proprio per questa sua caratteristica, l’evento de La Salette è potenzialmente universale (verrebbe da dire, con Mons. De Bruillard, “cattolico”[157]) nella sua ricettibilità (“il fine principale dell’apparizione è stato di richiamare i cristiani al compimento dei loro doveri religiosi”)[158].
2.2.1Il rapporto tra il criterio di verità dell’apparizione e i segreti
Una ricettibilità potenzialmente universale così modulata nel decreto di approvazione marca una triplice distanza dal segreto di Melania. La prima è di ordine teologico: il dinamismo ecclesiogenetico individuato da Mons. De Bruillard non è vi è riscontrabile. La seconda è di ordine storico: il dinamismo ecclesiogenetico descritto da Mons. De Bruillard non contiene alcuna preoccupazione di ordine politico. La terza è di ordine antropologico: la ricettibilità modulata dal decreto indica un dinamismo diverso da quello dei segreti così come viene inteso all’interno dell’ermeneutica propria della “suite mariofanica”, dal momento che tale ricettibilità si basa sull’annuncio di una parola pubblica udibile e ripetibile (appropriabile) da chiunque, proprio in quanto pubblica[159], in opposizione ai segreti che devono rimanere tali e non comunicati. Il decreto afferma:
«Ella [la Vergine] avrebbe conversato con loro sulle maledizioni che minacciavano il suo popolo, soprattutto a causa della bestemmia e della profanazione della domenica, e avrebbe confidato a ciascuno dei ragazzi un segreto particolare, con il divieto di comunicarlo a chiunque»[160].
Il decreto non descrive quali siano le eventuali caratteristiche dei segreti, ma, vista la sua formulazione, sembra supporre che si tratti di realtà linguistiche; esso lascia così intravvedere una differenza nella continuità: una parola pubblicamente annunciata e una parola taciuta. La parola pubblicamente annunciata, proprio in quanto realtà pubblica, assume necessariamente una forma comunicativa e una struttura il cui senso non riposa più esclusivamente in chi ne è depositario. La pubblicità di un annuncio e di un discorso porta con sé la sua ripetibilità; ed è proprio la ripetibilità che impone all’annuncio di assumere una forma compiuta, definitiva, la cui decodificabilità vada al di là dell’individualità del soggetto parlante per assumere una forma universalizzabile e perciò comprensibile (appropriabile e riutilizzabile autonomamente) da soggetti diversi da quello parlante.
Il fatto che i segreti debbano rimanere tali e non comunicati sta ad indicare invece la loro natura “non pubblica”. Ora, una realtà linguistica “non pubblica” si riferisce necessariamente all’esperienza individuale: è una parola “per” l’individuo e la sua storia ed è una parola che cresce con lui. Si tratta di una parola “aperta”, cioè non compiuta e non definitiva, perchè così legata a doppio filo con il divenire del soggetto parlante che ne è depositario da non poter assumere una forma compiuta e perciò universalizzabile e quindi ripetibile in maniera tale da garantirne la decodificabilità da parte di soggetti diversi da quello parlante. L’incomunicabilità dei segreti non è perciò il frutto di una autorità impositiva che così ha sovranamente (arbitrariamente?) deciso (e che teoricamente può in ogni momento ribaltare la propria decisione), ma è la manifestazione di una peculiare struttura comunicativa, vale a dire il silenzio che permette all’individuo di essere sé stesso e di porsi in relazione con sé stesso ed il mondo.
3. Problemi aperti
L’approccio decisamente creativo e innovativo di Mons. De Bruillard nei confronti del fatto de La Salette[161] che il presente studio ha cercato fin qui di evidenziare non ha però sortito, storicamente, l’effetto sperato. Anche il tentativo di Mons. Ginoulhiac, suo immediato successore, di arginare un vortice sempre più inarrestabile nel quale l’apparizione stessa stava cadendo, ha incontrato una medesima sorte. Nel suo cammino di ricezione ecclesiale, l’apparizione ha finito per identificarsi con i segreti e da elemento in controtendenza quale Mons. De Bruillard l’aveva compresa e accolta come segno nella e per la Chiesa, essa è divenuta strumento funzionale alle punte più estreme del movimento riparatore e nel momento in cui esso è andato incontro alla profonda mutazione seguita al Concilio[162], non è sembrato più esserci spazio per questo evento nella vita dei cristiani[163], se non quello segnato da elementi eterodossi quali il millenarismo e l’apocalittica e pertanto ai limiti stessi della comunità cristiana[164].
È storicamente fuori di dubbio che tornante decisivo di questo processo sia stato l’obbligo imposto ai ragazzi di mettere per iscritto i segreti. Lo stesso Mons. De Bruillard, nel decreto di approvazione, afferma il paradosso di questo atto:
«Un avvenimento tra i più straordinari, e che sembrava senz’altro incredibile, ci venne annunciato cinque anni orsono e si diceva accaduto su una delle montagne della nostra diocesi. Si trattava nientemeno che di una apparizione della Santa Vergine che si diceva essere apparsa a due pastori (tutti e due nativi di Corps, Massimino Giraud e Melania Mathieu) il 19 settembre 1846. Ella avrebbe conversato con loro sulle maledizioni che minacciavano il suo popolo, soprattutto a causa della bestemmia e della profanazione della domenica, e avrebbe confidato a ciascuno dei ragazzi un segreto particolare, con il divieto di comunicarlo a chiunque […] Al nome del Vicario di Gesù Cristo, i pastori hanno capito che dovevano obbedire. Si sono dunque decisi a rivelare al Sommo Pontefice un segreto che fino ad allora avevano conservato con una costanza invincibile e da cui niente li aveva fatti recedere. Lo hanno dunque scritto essi stessi, ciascuno separatamente […] Così [con la scrittura dei segreti e il loro invio al Papa a Roma] è caduta l’ultima obiezione che veniva fatta contro l’apparizione e cioè che non esisteva alcun segreto o che questo segreto fosse senza importanza, se non addirittura puerile, e che i fanciulli non volevano farlo conoscere alla Chiesa»[165].
Ci si trova così di fronte ad un vero e proprio paradosso, dal momento che Mons. De Bruillard descrive una proibizione assoluta, valida per chiunque[166], e poi l’infrazione di questa stessa proibizione. Esso si inserisce nel già descritto quadro dello scontro tra il vescovo di Grenoble e il cardinale De Bonald, suo metropolita, mai convinto della verità dell’apparizione[167]. Nel marzo del 1851, il De Bonald, con la pretesa di agire in qualità di consigliere di Pio IX, scrisse alla curia di Grenoble chiedendo informazioni sui segreti. In realtà, egli non aveva ricevuto alcuno specifico incarico dalla Sede Apostolica[168]. Di fronte alle sue insistenze, però, la curia di Grenoble finisce per “capitolare” e richiede ai ragazzi di mettere per iscritto il segreto che avevano ricevuto. Non corrisponde al vero, come già rilevato precedentemente, il ritenere che Pio IX avesse richiesto la stesura dei segreti in vista dell’approvazione dell’evento: questo era quanto si voleva e si volle far credere ai ragazzi per vincere la loro riluttanza. Questo paradosso non cercato ma impotentemente subito, di fatto, distruggerà le loro vite e metterà la loro credibilità in dubbio presso molti, unitamente alla credibilità di tutto l’evento di cui furono testimoni.
3.1 La stesura dei segreti
Fino ad ora nessuno aveva avuto modo di leggere le due redazioni dei “segreti” scritte dai ragazzi nel 1851 e nel 1854 su richiesta dei vescovi di Grenoble, De Bruillard e Ginouhliac. Esse erano state consegnate a Roma e se ne erano perse le tracce negli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questa lacuna è stata finalmente superata grazie allo studio portato avanti da Michel Corteville, sotto la guida dell’Angelicum di Roma e del mariologo René Laurentin: i testi delle due suddette redazioni sono stati ritrovati e sono stati pubblicati nel 2002 dalle edizioni Fayard di Parigi nel volume “Découverte du secret de La Salette”, a firma degli stessi Corteville e Laurentin[169].
Gli autori hanno indubbiamente il merito di aver ritrovato dei documenti necessari a una corretta ricostruzione storica della ricezione della mariofania de La Salette nella vita della Chiesa. Ma il quadro metodologico all’interno del quale essi li inseriscono è tale da suscitare delle riserve molto serie. In realtà, più che aprire degli interrogativi e delle possibilità, il libro sembra essere una perorazione “ex eventu” di alcuni postulati di ordine generale relativi alle apparizioni mariane, tipici dell’ermeneutica propria alla “suite mariofanica”. La conseguenza è una non dovuta sovrapposizione di quel che questo modello ritiene debba essere necessariamente una apparizione mariana alla mariofania de La Salette, per cui, se esso pone come centro comunicativo di questa apocalisse mariana in fieri la pretesa escatologica, ecco che i segreti diventano inevitabilmente il cuore pulsante dell’apparizione[170].
Questa non dovuta sovrapposizione si riflette anche sulla modalità con cui si accostano i veggenti, la loro persona e la loro storia. Il modello della “suite mariofanica”, infatti, prevede l’assimilazione (o, se si preferisce, l’identificazione, come già precedentemente rilevato) del veggente o dei veggenti ai ricettori/produttori di oracoli visionari. Ecco allora che gli autori imboccano decisamente la strada di rendere visibile la santità “straordinaria” dei veggenti, che se non ha potuto brillare fino ad oggi, non lo ha fatto a causa di un complotto esplicitamente e volontariamente ordito contro di loro da parte di chi era oggetto dell’aspro e definitivo giudizio di condanna espresso nell’oracolo. È questo che spiega i ripetuti concordismi e paragoni con alcuni santi (pienamente coerenti all’interno del modello della “suite mariofanica”[171]), che vengono sempre colti e ricordati nell’esercizio di doti/doni straordinari[172].
3.1.1 I segreti riscritti in quanto “visione”?
Presentandone i testi, gli autori fanno notare come i segreti siano modulati sul registro della “visione”:
«I veggenti non trascrivono solamente il ricordo delle parole, ma delle visioni che accompagnarono la rivelazione dei segreti […] La visione era immaginifica, simbolica, al di là delle “parole” […] C’è dunque di più nella visione che nelle parole. E tutto questo insieme parole-visioni, i veggenti lo comprendevano nella luce di Dio. Essi si riferiscono a questa luce, a questa illuminazione trascendente di cui i veggenti di Fatima, Francesco, Giacinta e Lucia, dicono in parallelo: “La luce, è Dio”. Melania lo esprime a suo modo»[173]. Gli autori, poi, inquadrano il registro della “visione” nella struttura della rivelazione delineata dal Concilio con la “Dei Verbum”: «[L’apparizione] riflette la struttura della rivelazione, che si dispiega davanti ai ragazzi su due piani distinti: messaggio e immagini»[174].
Queste affermazioni contengono due problemi. Il primo è che la struttura della rivelazione intesa dalla “Dei Verbum” parla di “gesti e parole” intimamente (sacramentalmente) connessi tra loro: non parla di “visione”[175]. Il “gesto” inteso come fatto storico sperimentabile linguisticamente non può essere assimilato alla “visione”, come affermano gli autori: essi stessi intendono la “visione” come una realtà al di là della storia, in quanto partecipazione alla stessa realtà divina nella quale la storia è stata già interamente riassunta. Proprio perché partecipazione intuitiva, diretta, della realtà divina, questa “visione” richiede necessariamente, secondo gli autori, delle riscritture successive, in quanto nessuna di esse è veramente in grado di esprimere tutto quello che la “visione” come tale porta con sé, dal momento che il suo potenziale comunicativo è eccessivo (nel senso etimologico del termine: eccede, va al di là, travalica) rispetto a quello posseduto dalle parole. Tali successive riscritture possono però essere fatte esclusivamente da chi è stato beneficiato dalla “visione”: non essendo questa un fatto storico sperimentabile linguisticamente (cioè attraverso la mediazione linguistica), essa si pone così al di fuori di qualunque processo di tradizione[176].
La tradizione è invece il processo entro il quale “Dei Verbum” situa la trasmissione della rivelazione, perché la tradizione indica un dinamismo comunicativo inclusivo: tutti possono (e debbono) prendervi parte grazie alla mediazione linguistica che permette di fare esperienza del fatto ormai accaduto una volta per tutte. Si può perciò affermare che le riscritture successive causate da una “visione” seguono percorsi differenti rispetto alle riscritture successive elaborate all’interno del processo comunicativo della tradizione: esclusività ed inclusività rimandano a realtà non sovrapponibili tra loro[177].
Il secondo problema è il seguente: sebbene gli autori parlino di “visione”, i diversi resoconti del racconto dell’apparizione riportano che nel momento di ricevere i segreti, i ragazzi hanno visto le labbra della Vergine muoversi senza però poter ascoltare nulla di quanto Ella diceva all’altro (e avendo potuto ascoltare solo quanto detto a sè stessi). Se le labbra si muovono… vuol dire che si sta parlando ancora! I segreti sembrano quindi appartenere all’ambito della comunicazione linguistica, come peraltro supposto dal decreto di approvazione, piuttosto che all’ambito della visione iconica[178]. La stessa prima redazione dei segreti, ritrovata dagli autori, li qualifica non come “visione”, ma come parola scambiata e detta[179]. Le successive redazioni dei segreti non alterano questo dato: è la Vergine che ha detto delle parole[180].
Di fatto, nell’ambito delle rivelazioni private, in cui si collocano le apparizioni,
«bisogna anche distinguere tra “rivelazioni mistiche” e “rivelazioni profetiche”. Le prime si rivolgono direttamente alla persona coinvolta, svelandole cose attinenti alla sua vita e sfera “privata”, mentre le seconde sono sempre destinate alla comunità umana e/o ecclesiale»[181].
La percezione della distinzione che intercorre tra le due dimensioni porta con sé anche il riconoscimento di una diversa pragmatica comunicativa propria a ciascuna: la struttura comunicativa dell’annuncio profetico segue, cioè, delle regole differenti rispetto alla comunicazione dell’esperienza mistica[182].
Nel modello della “suite mariofanica”, invece, questa differenza viene annullata e il segreto o i segreti divengono il luogo di confluenza e sovrapposizione della dimensione profetica (intesa principalmente come annunzio del futuro) con la dimensione mistica. In altre parole, il segreto assume in sé le strutture comunicative di entrambe, divenendo così “visione profetica”, ossia visione mistica che annuncia il futuro[183]. Ed infatti gli autori, coerentemente con questa posizione, assimilano lo stile dei segreti a quello dei profeti, per far poi coincidere tout court il linguaggio profetico con quello dell’apocalittica e dell’escatologia[184]. E per provare ulteriormente la correttezza di questa assimilazione, ricercano continuamente degli eventi che possono presentare delle somiglianze con quanto espresso dai segreti[185].
Queste due operazioni non sembrano però essere legittime: la prima, perché il linguaggio profetico è assai complesso nelle sue forme e strutture e ha tratti che lo distinguono apertamente dal linguaggio apocalittico e da quello escatologico, rendendo impossibile una sovrapposizione dei tre; la seconda, perché non rispetta le peculiarità tipiche dell’apocalittica e dell’escatologia, che non possono essere ridotte al tentativo di cronologizzare (cioè di dare scadenze temporali) all’azione divina.
Nel momento in cui il segreto diviene una visione-intuizione mistica che annuncia il futuro[186], l’apparizione assume una fisionomia ben definita e propria. Stefano De Fiores osserva:
«Mentre assistiamo ad un profetismo che scopre Dio e la sua azione decifrando i segni della terra, le apparizioni appartengono ad un profetismo di tipo mistico che legge i segni del cielo. Le mariofanie rientrano in questo profetismo come forma soprannaturale che si rivolge alla fede e più ancora alla speranza»[187].
Ma, come più volte ricordato, sono soprattutto i veggenti ad essere elevati allo statuto di mistici. Lo stesso De Fiores scrive:
«Il concilio Vaticano II, con la dottrina dei carismi da “accogliere con gratitudine e consolazione (LG 12)”, invita a superare quell’atteggiamento severo e repressivo circa i veggenti prevalso nella Chiesa nel periodo post-tridentino […] Il veggente gode di un “profetismo” di tipo mistico, problematico per la nostra epoca secolarizzata, in quanto esso legge i segni del cielo piuttosto che i segni della terra. L’apparizione è un evento importante nella sua vita spirituale e segna profondamente l’itinerario religioso come una svolta decisiva e determinante»[188].
Di fatto, però, un possibile esito di simile impostazione è che l’apparizione si trova ad essere al servizio del veggente e della sua esperienza spirituale, e non viceversa. Si tratta di una significativa “inversione”. Ed infatti, la querelle sui segreti de La Salette ha visto il progredire di una serie di non dissimili “inversioni”: dal discorso pubblico ai segreti; dalla “Bella Signora” che compie un atto profetico ai veggenti che divengono profeti; dalla memoria di Nostra Signora de La Salette alla memoria dei veggenti e di Melania in particolare[189].
Queste “inversioni” sono la conseguenza diretta del porre come normativa per tutti l’individualità propria dei contenuti del segreto, nonostante la sua difficoltà (o impossibilità) ad assumere una forma linguistica compiuta e universalizzabile[190]. Nella mariofania de La Salette l’opposizione, sancita dal decreto di approvazione, tra quel che può e deve essere comunicato e quello che non può e non deve esserlo segna il confine invalicabile tra la comunità e l’individuo: la comunità non può fagocitare l’individuo impadronendosi del sacrario della sua coscienza e rendendolo pubblico. Di fatto, il riconoscimento e l’accettazione della differenza esistente tra rivelazione mistica e rivelazione profetica[191] garantisce la salvaguardia del giusto confine e della giusta relazione tra individuo e comunità[192]. La sovrapposizione delle due elimina il confine tra individuo e comunità, innescando così una non-relazione che trova paradossalmente nelle successive riscritture del segreto il segno più evidente di una anomalia insieme comunicativa ed esistenziale.
3.1.2 I segreti riscritti per diretto intervento della Vergine?
La seconda ragione addotta dagli autori per motivare le successive riscritture è che esse sono ascrivibili ad un intervento diretto della Vergine[193], intervento posteriore all’apparizione del 19 settembre 1846. In occasione della prima stesura, essi affermano di Melania:
«Ella ha cambiato posizione all’ultimo momento “dalla sera alla mattina”, senza dubbio a causa di un nuovo intervento della Santa Vergine»[194].
Questa affermazione pone un serio problema, vale a dire il rapporto di questo presunto nuovo intervento con l’apparizione. Fondamentalmente, esistono due possibilità di intendere tale rapporto: o anch’esso è parte integrante dell’apparizione, oppure si tratta di qualcosa di qualitativamente diverso rispetto ad essa. Nel primo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento come parte integrante dell’apparizione, allora ciò vuol dire che l’evento non si è concluso il 19 settembre 1846: non siamo di fronte a una mariofania unica[195], definitiva in se stessa, ma un evento composto di più tasselli distesi lungo l’arco temporale della vita dei due veggenti e di Melania in particolare.
Ora, se l’evento non è definitivamente terminato il 19 settembre 1846, non si può parlare di una sua approvazione da parte della Chiesa. Il presupposto del decreto di approvazione firmato da Mons. De Bruillard, infatti, è che l’apparizione sia definitivamente terminata il 19 settembre: «Dichiariamo che l’apparizione della Santa Vergine a due pastori, il 19 settembre 1846, su una montagna della catena delle Alpi, situata nella parrocchia de La Salette, soggetta alla giurisdizione dell’arciprete di Corps, porta in sé stessa tutti i caratteri della verità, e che i fedeli hanno fondate ragioni per crederla indubitabile e certa»[196].
Le coordinate spazio temporali che vengono enunciate non sono espressioni linguistiche di circostanza, ma vanno prese in tutta la loro pregnanza: individuano un evento, gli danno forma; e dare forma a un evento significa dargli un confine (una identità) che lo separi da altri eventi. In questo senso è solo la conclusione di un evento che permette la sua valutazione[197]: se nel 1851 l’evento de La Salette fosse stato ancora in corso (“in fieri”), e così nel 1858, nel 1860 e nel 1878-1879 (vale a dire le date della riscrittura del segreto da parte di Melania), allora il decreto di approvazione del vescovo di Grenoble è semplicemente invalido e inutile, in quanto privo di un oggetto reale[198].
Nel secondo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento della Vergine come qualcosa di qualitativamente diverso rispetto all’apparizione, si danno tre possibilità: la Chiesa lo ha accolto; o lo ha rifiutato, negandogli i caratteri della verità; oppure non si è ancora pronunciata in merito.
Per dare una risposta sensata, bisogna partire dalla descrizione che gli autori fanno di questo nuovo intervento: di fatto esso ha costituito i veggenti e Melania in posizione assolutamente preminente come gli unici e veri esegeti dell’apparizione, autentici profeti-apostoli incaricati della missione di svelare completamente i segreti e di dare vita alla fondazione religiosa richiesta dalla Vergine a Melania nella sua apparizione[199]. Ora, il successore di Mons. De Bruillard alla guida della chiesa di Grenoble, Mons. Ginoulhiac, con il suo decreto del 4 novembre 1854[200] ha esplicitamente rifiutato i caratteri della verità alla missione dei due veggenti: questa «missione segreta dei veggenti»[201] è il frutto delle fortissime pressioni ambientali esercitate sui due ragazzi.
«Le predizioni che sono attribuite a Melania con il relativo senso che gli si riconosce, non hanno fondamento e sono anche senza importanza in rapporto al Fatto de La Salette dal momento che, come quelle di Massimino, esse sono certamente posteriori ad esso e non vi intrattengono alcun legame»[202].
La costatazione di questo pronunciamento porta a concludere che l’approccio adottato dagli autori non conduce ad alcun risultato e anziché aprire degli orizzonti ottiene l’effetto contrario di sigillarli completamente. Riguardo il primo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento della Vergine volto a permettere e incoraggiare la stesura-riscrittura dei segreti come parte integrante dell’apparizione, il che postula necessariamente che l’apparizione stessa non si è conclusa il 19 settembre 1846, non esiste alcuna via di uscita: il decreto di approvazione non possiede alcun valore perché è privo del suo oggetto. Gli autori non si pongono semplicemente il problema perché tendono a sovrapporre e a far coincidere i contenuti di questo nuovo intervento con la “visione” che costituisce i segreti, in modo da “retrodatare” tutto al 19 settembre 1846. Ma allora non si capisce in che cosa consista questa reiterata novità di intervento diretto della Vergine: novità rispetto a cosa? O a chi? La domanda cade nel vuoto e lascia il dubbio fondato che quello dell’intervento diretto della Vergine (sebbene testimoniato da Melania) sia un modo per attribuire una qualità sacra e divina all’imbarazzante fenomeno della riscrittura dei segreti de La Salette e superare così le difficoltà che un simile fatto pone.
Riguardo il secondo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento della Vergine come qualcosa di qualitativamente diverso rispetto all’apparizione, di fronte al giudizio negativo espresso in maniera esplicita da parte della Chiesa nella persona di Mons. Ginoulhiac[203], gli autori trovano e indicano una via di uscita nella costruzione di un argomento double-face: dimostrare da un lato la santità dei veggenti[204] e dall’altro l’errore volutamente menzognero costruito e perpetrato da Mons. Ginoulhiac ai loro danni[205]. Il fine consequenziale di questa argomentazione è mostrare l’invalidità e l’inapplicabilità di tale pronunciamento negativo sia nei confronti delle loro persone che della loro costante e paziente testimonianza dei segreti contro tutto e contro tutti[206].
Si è già ricordato che gli autori presentano Mons. Ginoulhiac come persona non totalmente convinta dell’autenticità dell’apparizione[207], pienamente devota all’Impero francese di Napoleone III[208] fino al punto da avere rapporti sempre più tesi con i veggenti[209], che per parte loro non amavano l’imperatore, e giungere alla decisione finale di separare definitivamente i ragazzi dall’apparizione. Decisione questa che gli autori qualificano come scelta di carattere sostanzialmente politico e non teologico. Essi scrivono:
«Mons. Ginoulhiac doveva sostenere il movimento di pellegrinaggio a La Salette, secondo le intenzioni di Mons. De Bruillard e Pio IX, ma non poteva sostenerlo contro l’impero (anche dal punto di vista della lealtà all’impero secondo l’insegnamento di San Paolo). L’unica soluzione politica era desolidarizzare il più possibile il pellegrinaggio dai veggenti[210], ossia ciò che Mons. Ginoulhiac espresse in una formula mirabilmente efficace durante la sua omelia del 19 settembre 1855 a La Salette, di fronte a 9.000 pellegrini: “La missione dei pastorelli è finita, inizia quella della Chiesa”. Questa massima determinerà la sua azione costante per scartare e marginalizzare i veggenti, impedire i voti di Melania e l’accesso al sacerdozio per Massimino»[211].
Ma gli autori non si fermano qui e si spingono più avanti: oltre che dal fattore politico (che quindi non impegna la teologia e la spiritualità), Mons. Ginoulhiac sarebbe mosso, in questo suo procedere, dai suggerimenti della contessa Pauline de Nicolay, pseudomistica tenuta però in grande considerazione dal padre Burnoud, superiore della comunità dei sacerdoti incaricati del servizio del Santuario, i Missionari di Nostra Signora de La Salette. A loro parere, questa donna
«“ispirata” a denunciare Melania per prendere il suo posto a La Salette […] ha letteralmente fornito [a Mons. Ginoulhiac] la formula che risolve l’antagonismo tra il religioso e il politico, salva il pellegrinaggio e abbandona i veggenti»[212].
Questa posizione degli autori non è storicamente sostenibile. È stato già rilevato come la candidatura di Ginoulhiac alla successione di Mons. De Bruillard sia stata proposta da quest’ultimo, dal momento che egli desiderava ardentemente un successore che portasse avanti l’opera da lui iniziata con l’approvazione dell’apparizione e la fondazione del santuario come dei Missionari di Nostra Signora de La Salette[213]. Così come è stata già mostrata la natura specificamente ecclesiale (e non politica) del decreto del novembre 1854. In relazione poi alla supposta influenza della pseudomistica contessa de Nicolay su Mons. Ginoulhiac, i documenti attestano che il giudizio di quest’ultimo nei confronti dei primi Missionari di Nostra Signora de La Salette è sempre stato molto duro e severo proprio a causa dei loro legami con questi circoli di donne pseudo-mistiche (la contessa, infatti, non era la sola)[214]. Nell’estate del 1857, Mons. Ginoulhiac apostrofava questi sacerdoti come «pazzi, imbecilli, bambinoni che non sanno quell che fanno»[215]. Ai suoi occhi, tali legami con questi circoli di pseudo-mistiche impedivano, di fatto, alla prima comunità dei Missionari di stabilizzarsi attorno a un progetto di vita che accogliesse in pieno quanto voluto da Mons. De Bruillard nella loro fondazione[216]. Ne consegue che una benevola e diretta influenza della contessa su Mons. Ginoulhiac quale quella supposta dagli autori attraverso l’opera del padre Burnoud[217], risulta assai problematica, improbabile e inverosimile.
Piuttosto, l’aver affermato che la missione dei pastorelli è finita, essendo iniziata quella della Chiesa, è un ancora una volta un ritorno di Mons. Ginoulhiac al decreto di approvazione emanato da Mons. De Bruillard.
«L’approvazione dell’apparizione e la sua consegna alla Chiesa universale perché vi trovi una rinnovata spinta a cercare, trovare e testimoniare il mistero di Cristo nel mondo segna il momento del “distacco”: Massimino e Melania passano in secondo piano. Anche se testimoni privilegiati di una grazia particolare, essi non ne sono gli interpreti né i “garanti”: nulla, nel decreto di approvazione, è loro “riservato”. L’approvazione dell’apparizione consegna alla Chiesa universale il messaggio pronunciato dalla “Bella Signora” e non la vita dei due ragazzi: essi rientrano nel nascondimento, come i “servi inutili” del Vangelo. Rimangono invece le parole di Maria e il loro sconvolgente richiamo al “suo Figlio”. Molti non accettarono questo passaggio, e ritennero che Massimino e Melania fossero gli autentici interpreti del significato dell’apparizione soprattutto a causa del segreto che era stato loro affidato, segreto che si caricava così delle attese più disparate diventando, nello stesso tempo, un cuneo profondo per entrare nell’animo dei due giovanetti e un mezzo da essere usato contro il nemico di turno, sia dentro che fuori la Chiesa. Il segreto ricevuto inizia così ad essere la fonte di una vera e propria “identità pubblica”, soprattutto per Melania, e conquisterà un ruolo centrale nella storia della diffusione e della ricezione dell’apparizione, il più delle volte a scapito di quel messaggio che l’approvazione della Chiesa aveva invece riconosciuto e offerto a tutti i cristiani come fonte di rinnovamento e di testimonianza»[218].
3.2 I segreti estorti con la violenza
La cruda realtà storica mostra impietosamente come la stesura dei segreti nasca da un atto di violenza perpetrato nei confronti dei due pastorelli, i quali hanno tentato fino all’ultimo di opporsi a tale richiesta, dato inconfutabile che tutti sono obbligati ad ammettere[219]. Una violenza nata come conseguenza dello scontro tra il cardinale De Bonald e Mons. De Bruillard sulla veridicità dell’apparizione. Perciò anziché ipotizzare un nuovo e diretto intervento della Vergine per sbloccare la situazione o cercare di dimostrare la santità mistica dei veggenti volutamente marginalizzata (ipotesi che creano molti più problemi di quelli che dovrebbero risolvere, anche se perfettamente coerenti e necessarie all’interno del modello ermeneutico della “suite mariofanica”[220]), occorre piuttosto accettare questo dato in tutta la sua portata, perché non può essere ritenuto estraneo alla stessa elaborazione degli scritti.
Oltre che essere stato un atto di violenza psicologica e morale su ragazzi completamente indifesi, un marchio indelebile le cui conseguenze essi hanno dovuto scontare per tutta la vita schiacciati da un vortice più grande di loro[221], la costrizione alla rivelazione e scrittura dei segreti ha di fatto privato Massimino e Melania dell’unico orizzonte interpretativo degli stessi (il che non può essere considerato una violenza minore o secondaria rispetto alle altre). Di fatto, il segreto confidato in quanto segreto, ossia in quanto forma comunicativa non ripetibile, istituisce questa parola come parola “per” il soggetto ricevente: non è una parola “per” altri. Ciò vuol dire che l’orizzonte di tale parola “per” il soggetto non è costituito dalle attese, dalle idee, dalle propensioni, dalle aspettative di chi circonda il soggetto e intrattiene legami (di varia natura e livello) con lui.
In altre parole, l’orizzonte del segreto in quanto tale non è la vita di chi circonda il soggetto che lo riceve[222]: se il suo orizzonte fosse la vita di quelli che sono intorno al soggetto, esso assumerebbe necessariamente una forma linguistica diversa, vale a dire una forma linguistica ripetibile e perciò condivisibile, proprio per venire incontro a quelle attese, aspettative, idee e favorirne la circolazione[223].
La violenza imposta ai ragazzi e da loro subita è stata questa sostituzione arbitraria, autoritaria, ingannevole e senza alcun fondamento dell’orizzonte ermeneutico della parola che avevano ricevuto. Essi sono stati costretti a trasformare una parola detta “per” loro in una parola detta “per” altri. Questo implica necessariamente (e in modo causalmente dipendente da quella stessa violenza) una “riformulazione” della parola precedentemente intesa. In questo contesto, il termine “riformulazione” indica il mutamento di due livelli: il livello della relazione con il soggetto che aveva confidato il segreto; e il livello della relazione con gli altri soggetti.
3.2.1 La riformulazione delle relazioni
Viene riformulato il livello della relazione con il soggetto che aveva confidato il segreto. Infatti è necessario superare la percezione oggettiva del tradimento: rendere pubblico quel che pubblico non è significa, di fatto, tradire la relazione (non solo appartenente al passato ma tuttora in atto) che si sviluppa a partire dalla consegna del segreto. Ovviamente, una percezione del genere non può essere sopportata dai ragazzi, che sono vittime innocenti, e da Melania in particolare, che dei due è la più sensibile. Ecco allora che la rottura del segreto violentemente imposta ai ragazzi viene “riformulata” come evento già previsto e, in definitiva, esplicitamente giustificato e voluto da Colei che aveva dato e imposto il segreto. A questo livello, “riformulare” la parola dei segreti precedentemente intesa ha significato, per i ragazzi, liberare se stessi dal peso insopportabile del tradimento e garantire la continuità di relazione con Colei che li aveva loro confidati (e garantire, di conseguenza, la continuità di relazione con Dio e il suo Figlio).
Viene poi riformulato il livello della relazione con gli altri soggetti, ancora grazie al superamento della percezione del tradimento. L’attribuzione dello svelamento dei segreti alla stessa Vergine fornisce, infatti, la base per questo ulteriore passaggio, in quanto sta a significare, al di là di ogni possibile tradimento, che quelle parole sono effettivamente “per” gli altri e non “per” i ragazzi nella loro individualità. Se questa parola segreta è “per” gli altri, allora ecco che si apre la sua relazionalità genetica con le “loro” vite, le “loro” attese, le “loro” paure, le “loro” speranze. Il significato di quelle parole che costituiscono i segreti è “dentro” di loro, è “dentro” la “loro” vita. Da un rapporto di differenziazione essenziale tra individuo e comunità, quale era quello mantenuto dal segreto non comunicato, non rivelato, si passa ora a un rapporto di fusione tra individuo e comunità. Questo rapporto non è imputabile ai ragazzi in virtù di una loro anormale fragilità psicologica, ma è un rapporto generato dalla comunità stessa poiché essa (nella persona della gerarchia ecclesiastica) non ha rispettato il limite invalicabile del sacrario della coscienza dei due ragazzi e lo ha violentemente abbattuto richiedendo e ottenendo di conoscere i segreti.
Volendo essere ancora più precisi, questa è la “riformulazione” che si opera: i ragazzi non sono più separati (differenziati) dagli altri in una loro individualità propria e intangibile, ma si trovano “dentro” gli altri, in un rapporto di fusione dove i confini come tali tra individuo e comunità non esistono più e rimangono indifferenziati. Il segreto rivelato li trasporta “dentro” la vita di coloro cui esso viene annunciato e questo essere “dentro” la vita di coloro cui il segreto viene annunciato diventa la base per comprendere quella stessa parola. È dunque dalle attese, dalle paure, dalle speranze, di coloro “dentro” ai quali si trovano che i ragazzi debbono ora partire per raggiungere l’intelligibilità di quella parola che invece era stata loro rivolta come parola esclusiva “per” loro stessi in modo da rafforzare la loro differenza (individualità) rispetto alla comunità (il loro confine, necessario ad una giusta relazione con gli altri). L’ermeneutica della “suite mariofanica”, pur nascendo dal bisogno reale di articolare la relazione tra individuo e comunità, non è però in grado di rilevare e valutare adeguatamente questo fenomeno di riformulazione. Esso viene pertanto approcciato in termini di “missione” dei veggenti rispetto ad una comunità tendenzialmente negativa e contraria nei loro confronti e da ricondurre perciò all’accettazione-obbedienza. Solo che tale “missione” non è di autorità divina; non deriva cioè da un effettivo invio imputabile alla Vergine (prima “riformulazione”: è la Vergine che ordina l’abolizione del segreto), ma è la conseguenza del rendere pubblica, secondo le regole e i presupposti della comunicazione pubblica, una parola che nella sua origine è esclusivamente individuale e personale: è l’abbattimento del confine tra individuo e comunità, il cui esito è una continua prova di forza reciproca, distesa lungo l’intero arco temporale, tipica di una (non) relazione fusionale.
Molto probabilmente è qui la radice, insieme psicologica e spirituale, della tumultuosità della vita vissuta da Massimino e soprattutto da Melania la cui esperienza, in rapporto a quella di Massimino, è molto più ricca e sfaccettata. Una volta violentati nel sacrario della loro coscienza, tutto nella loro esistenza è stato di conseguenza alterato[224]. Ma si tratta di una alterazione successiva all’evento dell’apparizione, che si può connotare addirittura come tentativo di distruzione della credibilità dell’apparizione stessa. Questo era infatti rimasto l’intento del cardinale De Bonald, intento cui la pretesa di conoscere i segreti era drammaticamente funzionale. Il 28 novembre 1852, dopo poco più di un anno dalla pubblicazione del decreto di approvazione che egli aveva inutilmente cercato di bloccare, il cardinale scrive a Mons. De Bruillard:
«Io mi domando, monsignore, come la minaccia di disastri di cui dovrebbero essere afflitte certe province se non si convertono possa essere materia di un segreto. Giona non riteneva segreta la rovina da cui Ninive era minacciata. Al contrario, questi flagelli debbono essere gridati sui tetti. Se Massimino avesse deciso di non rivelare il suo segreto; se non fosse stato costretto ad inviarlo a Roma, a cosa sarebbe servito questo mistero? Quale fine avrebbe avuto la missione della Santa Vergine?»[225].
3.3 Massimino e Melania
Alla luce del percorso fin qui compiuto, emerge l’urgenza di restituire a Massimino e in particolare a Melania quella giustizia e quella gratitudine ecclesiale che non è ancora loro riconosciuta come si dovrebbe.
«Proprio in base all’evangelico “dai frutti giudicherete l’albero”, possiamo affermare che nella tortuosa vicenda de La Salette davvero “tutto è grazia”! Certo, la vita di Melania fu avventurosa, tribolata e contrastata, eppure ovunque è stata ha lasciato tracce profonde. Non solo per il grande impegno nella preghiera e la mortificazione, nella cura degli orfani e la riforma della vita consacrata, ma soprattutto per la tenacia — fino all’ostinazione, secondo i detrattori — che manifestò nel difendere quanto lei ha progressivamente ritenuto essere la volontà espressa da Maria sulla montagna de La Salette. Fu la fedeltà a quella volontà che la spinse a muoversi, a far valere le proprie ragioni, a scegliere un’esistenza nomade pur di far conoscere quello che ai suoi occhi appariva sempre più come un messaggio doloroso, eppur necessario alla salvezza della Chiesa. Nella sua vita e nel suo segreto, Melania ha scritto la “sua” interpretazione del messaggio de La Salette, da lei mai alterato o cambiato, ma sempre ripetuto con fedeltà ed eroismo [corsivo nostro]. La verità storica […] ci dice che in Melania stessa è possibile distinguere quel che passa e quel che resta del messaggio de La Salette: passano le modalità con cui gli individui e le comunità rispondono alla grazia, ciascuno nel suo contesto e nella sua storia. Resta invece la grazia, che attraverso le parole della “Bella Signora” arriva fino a noi perché diveniamo icona del Crocifisso Risorto, cuore sempre attuale della storia e della vocazione dell’intera umanità»[226].
Per costruire questo itinerario di giustizia e gratitudine verso Massimino e Melania sembra preferibile avvicinare la loro storia privi dell’equazione santità/capacità-fenomeni-doni straordinari, consapevoli che essa non è richiesta dall’apparizione in maniera logicamente causale[227] e che si tratta di una precomprensione di metodo piuttosto che di una realtà storica. Il rischio insito in tale opzione è quello di ottenere l’effetto contrario rispetto a quanto desiderato: il modello oracolare utilizzato per comprendere i ragazzi e la loro testimonianza si muove paradossalmente sulla medesima lunghezza d’onda della violenza subita dai veggenti quando sono stati costretti a rivelare e mettere per iscritto quanto loro confidato dalla Vergine. È una violenza perché, al fine di dare credibilità alla loro testimonianza, pretende dai ragazzi che essi corrispondano a un’idea già stabilita: per vedere la Vergine e adempiere alla missione che questa visione porta con sé, essi debbono essere santi, di una santità adeguata alla qualità della suddetta missione. Dal momento poi che, nel caso di Melania, questa missione si presenta come decisiva (“escatologica”) in relazione ai destini della Francia e del mondo, una santità adeguata ad essa non può che essere straordinaria[228]. Questo itinerario può comprendere tre momenti: le indicazioni di Mons. Ginoulhiac, un contributo alla comprensione dei criteri di obbedienza e di salute psichica dei veggenti e la loro specifica testimonianza carismatica.
3.3.1 Le indicazioni di Mons. Ginoulhiac
Può sembrare paradossale il riferimento a quanto scritto da Mons. Ginoulhiac nel decreto del 4 novembre 1854, dal momento che la valutazione ivi presentata e il suo tagliente ed energico comportamento nei confronti di entrambi i ragazzi e soprattutto di Melania non sono stati interpretati come una forma di sostegno o di riconoscimento loro offerto. Eppure, una lettura liberata dai pregiudizi che la storia ha funzionalmente costruito può aprire esattamente questa via inaspettata[229]. Il decreto del 1854 recita:
«Poveri, leggeri e bizzarri, dall’indomani [del fatto] essi hanno resistito alle seduzioni e alle minacce le più capaci di impressionare due ragazzi della loro età ed estrazione sociale. Né l’uno né l’altro si sono mai smentiti durante tre anni […] Del resto, nell’attestazione del fatto in se stesso e nella conservazione di quello che essi chiamano il loro segreto, essi si sono mostrati di una fermezza che ha sconcertato gli uomini più risoluti ad abbatterla, e di una abilità che ha smontato costantemente le questioni meglio preparate […] Divenuta dopo il 19 settembre 1846, da parte di un gran numero di persone, comprese le più considerabili e distinte, l’oggetto di attenzioni delicate, di prevenzioni tenere e rispettose che rassomigliavano a una specie di culto, sarebbe poi così sorprendente se [Melania] non si fosse lasciata vincere dall’attaccamento al suo proprio sentire, che è uno dei grandi pericoli che corrono le anime favorite da doni straordinari? Questo attaccamento al suo sentire e le singolarità che ne costituiscono il naturale seguito hanno attirato [letteralmente “fissato”] la nostra attenzione, sin da quando ne siamo stati informati; e nonostante la Comunità rendesse omaggio alla sua pietà e al suo zelo nell’istruzione dei bambini, noi abbiamo creduto nostro dovere di rifiutare di ammetterla ai voti annuali, al fine di formarla efficacemente alla pratica dell’umiltà e della semplicità cristiana, che sono i mezzi necessari e più sicuri per preservare dalle illusioni della vita interiore […] Del resto, la condotta da noi tenuta verso questi ragazzi permette una rimarcabile osservazione. Cioè che malgrado le misure che noi abbiamo preso nei loro confronti, e che sono sembrate severe, benché noi avessimo affermato più in alto che ogni diniego da parte loro non avrebbe avuto alcuna importanza; malgrado il malcontento e lo smarrimento che essi hanno provato, sebbene noi avessimo loro accordato la più grande libertà sia nelle loro relazioni abituali sia nei loro viaggi; di fronte a questa sorta di provocazioni, e con tutta la facilità di smentirsi, essi non sono cambiati nel loro linguaggio sulla verità del Fatto de La Salette, e non è loro mai scappata alcuna parola, una minaccia, da cui si possa inferire che non sono convinti»[230].
Non sembra assolutamente deprezzante e deprezzatorio parlare dei ragazzi come di persone capaci di fermezza nella sofferenza loro imposta dalla testimonianza, considerata la loro età, estrazione sociale ed anche la loro bizzarria (ossia il non aver ricevuto una educazione sistematica e mirata, volta cioè a suscitare e mantenere stabili determinati atteggiamenti personali). Ciò che viene apertamente riconosciuto è lo spessore teologale di queste due persone, dal momento che si afferma positivamente il vincolo da esse percepito nei confronti dell’esperienza di grazia che avevano ricevuto. Un vincolo reso manifesto precisamente dalla sofferenza patita: è una oblatività crocifissa quella che viene descritta come un dato di fatto, una esperienza concreta che Massimino e Melania scelgono non per compiacere l’uditorio, ma per un’altra causa, ossia il fatto de La Salette. Questa oblatività crocifissa non è separabile dallo spessore teologale della persona, ma al contrario lo costituisce e lo esprime. Ciò che il decreto esclude è che tale spessore teologale sia stata la causa dell’apparizione; ciò che il decreto afferma è che esso costituisce una conseguenza osservabile dopo l’evento del 19 settembre 1846 in relazione ad esso[231].
Il decreto contiene però la “famigerata” espressione “oggetto di culto” in relazione a Melania[232]: come spiegarla e armonizzarla con lo spessore teologale che le viene comunque riconosciuto? In primo luogo, riconducendola alla prospettiva del documento che è parziale e non totale: Mons. Ginoulhiac non sta descrivendo la globalità della persona di Melania, ma l’accertato atteggiamento delle folle dei primi pellegrinaggi, che esaltava i due ragazzi ai limiti della venerazione[233]. In secondo luogo rilevando che quella di Mons. Ginoulhiac è una prospettiva “aperta”: se attualmente, nel momento in cui si scrive, Melania si trova di fronte a delle illusioni, che sono il frutto delle enormi pressioni ambientali (e quindi di qualcosa che non si è cercato, ma che si è piuttosto subito), per il futuro non c’è alcuna previsione. Non si dice, cioè, che cosa necessariamente avverrà; per Melania è ancora aperta la porta per essere fedele alla propria realtà di persona “favorita da doni straordinari”, realtà che non è messa assolutamente in dubbio e che si radica nella grazia dell’apparizione. Questa porta aperta coincide, come nella molteplice attestazione della tradizione, con la sottomissione al giudizio della Chiesa. E il giudizio della Chiesa, nella circostanza precisa, è costituito dal legittimo giudizio del vescovo, in primo luogo quello di Mons. De Bruillard che ha accertato la soprannaturalità dell’esperienza vissuta dai due ragazzi e ha indicato le modalità attraverso cui riceverla nella Chiesa stessa; giudizio strutturalmente ribadito ora dal suo successore in una situazione di crisi di credibilità dell’apparizione e dei suoi testimoni. Di fatto, a Melania (e a Massimino) nulla impedisce di essere parte viva di quel giudizio che loro stessi, con la loro testimonianza perseverante e sofferente, hanno contribuito a costruire. Ora, nonostante tutte le contraddittorietà della loro vita, sia Melania che Massimino sono rimasti fedeli alla loro realtà di persone favorite da doni straordinari, perché nonostante il disprezzo che li ha sempre circondati[234] e le diverse manovre di cui sono stati vittime (dai monarchici lealisti agli apocalittici e occultisti[235], passando per significativi strati del clero), essi hanno continuato a ripetere senza cambiamenti o alterazioni il messaggio pubblico (non i segreti) che udirono quel 19 settembre 1846 dalle labbra di colei che essi hanno sempre chiamato “la Bella Signora”[236].
In terzo luogo, l’affermazione va compresa tenendo conto anche del suo lato debole, ossia dell’incapacità di Mons. Ginoulhiac (e di Mons. De Bruillard prima di lui) di valutare appieno le conseguenze del comando estortore dei segreti. In questo, entrambi sono rimasti figli del loro tempo e di una Chiesa clericocentrica dove la dignità dei fedeli laici non veniva percepita appieno. Pur riconoscendo un sorprendente spessore teologale ai veggenti, Mons. Ginoulhiac (e Mons. De Bruillard prima di lui) non hanno percepito i limiti della loro autorità: i ragazzi sono comunque rimasti ai loro occhi persone su cui si riteneva lecito esercitare una potestà assoluta, non sufficientemente illuminata e guidata dalla responsabilità del servizio (che pur hanno dimostrato nei confronti del discernimento sull’evento de La Salette in sé). Nei fatti, richiedendo di conoscere i segreti, essi sono stati coloro che hanno “ufficialmente” infranto il limite invalicabile della coscienza individuale, scatenando una serie di reazioni a catena che ha indelebilmente segnato le vite di Massimino e Melania senza che essi avessero una qualche possibilità di reazione e di difesa. Nessuno dei due vescovi è stato infatti sfiorato dal dubbio relativo al proprio operato e ha pensato alla successiva storia della vita dei veggenti come conseguenza delle proprie decisioni, se non in termini di pura obbedienza gerarchica alle diretteve emanate (anche se fondate). In questo senso, essi possono essere considerati come i testimoni “involontari” di una attesa e di un desiderio di purificazione che troverà il suo sbocco nel Concilio Vaticano II[237].
3.3.2 I criteri di obbedienza e di sanità psichica dei veggenti
Nella querelle sui segreti e sul segreto di Melania in particolare, molti hanno ravvisato nella veggente (e anche in Massimino) un comportamento segnato da una mancanza di equilibrio sia psicologico che spirituale, accentuando ora l’uno ora l’altro aspetto. Oltre a Melania, a venir messa in questione è stata di conseguenza anche l’apparizione di cui era stata testimone: le affermazioni del decreto di approvazione e del decreto di Mons. Ginoulhiac sembravano improvvisamente non veritiere in un passaggio essenziale, quello della attendibilità dei testimoni. Infatti, «per la valutazione di una presunta rivelazione è indispensabile l’esame attento della persona del veggente, le cui principali qualità devono essere l’equilibrio psicologico e psichico e la fede viva, perché non si scambino allucinazioni o fantasie esuberanti per apparizioni»[238]. Come potevano essere attendibili dei ragazzi che venivano percepiti e presentati come sofferenti di problemi psichici e/o non docili alle direttive della Chiesa? Il teologo Augustinus Suh scrive:
«Dal punto di vista psichico, morale e spirituale, occorre determinare se i veggenti siano persone equilibrate o abbiano tendenze patologiche. Questo esame è utile per appurare se una rivelazione presunta sia autentica o sia un’allucinazione. Dal punto di vista morale e spirituale si può pensare a due criteri. Il criterio negativo è l’individuazione di difetti nel soggetto: mancanza di sincerità, abitudine all’esagerazione o all’invenzione dei dati oggettivi o tendenza all’indiscrezione. Il criterio positivo consiste nell’esame delle virtù delle persone coinvolte: l’umiltà, l’obbedienza e la santità»[239].
Il criterio negativo, proposto dal Suh, è rilevabile in quanto accertato dai decreti dei vescovi De Bruillard e Ginoulhiac: per il primo, «la costanza e la fermezza della loro testimonianza […] non ha mai subito variazioni né davanti alla giustizia umana né di fronte alle migliaia di persone che hanno esercitato tutti i mezzi di seduzione per farli cadere in contraddizione o per ottenere la rivelazione del loro segreto»[240]; per il secondo «essi non sono cambiati nel loro linguaggio sulla verità del Fatto de La Salette»[241]. I resoconti dell’apparizione dettati più volte dai veggenti manifestano infatti una sorprendente costanza e sobrietà: essi cioè non contengono elementi ascrivibili all’indiscrezione o all’esagerazione, né si soffermano su elementi secondari che di volta in volta vengono sottolineati o aggiunti ed elevati al rango di dati primari. Il racconto è asciutto e le parole del messaggio sono indipendenti dall’uditorio e dalle sue aspettative, cioè non cambiano in base ad esso. Tutto questo si ripete lungo l’intero arco temporale della vita di Massimino e di Melania, senza variazioni sostanziali e apprezzabili. I vescovi De Bruillard e Ginoulhiac sono consapevoli che questo dipende essenzialmente dal fatto che la parola che i veggenti ripetono è “per” la comunità e, come tale, per validare sé stessa, questa parola deve rimanere inalterata affinchè la comunità che si evolve e non è mai staticamente uguale a sé stessa possa ascoltarla, comprenderla e farla propria.
A differenza del messaggio pubblico, i segreti seguono un dinamismo diverso, quello della riscrittura e dell’accrescimento progressivo, completamente assente nel primo. Fermarsi alla schizofrenia di questo fenomeno ed ipotizzare delle cause psicologiche corrispondenti nelle persone non sembra metodologicamente fondato e corretto. I segreti non sono il frutto di personalità disturbate, che in essi trovano una modalità di espressione aperta e non arginata o repressa dalle strutture sociali di controllo. Un simile ragionamento parte dal presupposto che tra parola da pronunciare e parola da tacere non esista alcuna differenza, sia dal lato semantico che da quello pragmatico. È invece proprio questa differenza semantica e pragmatica il punto di partenza di una metodologia capace di esprimere non i suoi presupposti di partenza (impliciti o espliciti che siano), ma la complessità del fenomeno. La parola da annunciare e la parola da tacere indicano la non sovrapponibilità tra comunità ed individuo e l’impossibilità di risolvere l’una nell’altro, ponendo regole uguali e indistinte per lo sviluppo di entrambi[242].
Posto perciò il riconoscimento della differenza esistente tra la parola da annunciare e la parola da tacere, bisogna anche rilevare che con la scrittura e riscrittura dei segreti ci si trova di fronte ad una situazione anomala: la trasformazione di una parola taciuta in parola annunciata a causa della violazione dell’intimità dell’individuo da parte della comunità che, nel corso del processo valutativo e a motivo di esso, non ha saputo e voluto rispettare il confine insieme di separazione e di relazione con l’individuo stesso, impossibilitato per parte sua a difendersi. Ora, nella sua formulazione il criterio negativo proposto dal Suh suppone una giusta e corretta relazione tra individuo e comunità, e quindi una metodologia di indagine rispettosa dei confini di entrambi. Egli non tiene in conto la situazione di un individuo che, nel corso del processo valutativo condotto dall’autorità legittima, possa essere violentato dalla comunità (rappresentata dall’autorità) e da essa costretto ad aprire il sacrario inviolabile della sua intimità, alterando la relazione e la capacità relazionale, attraverso una metodologia di indagine irrispettosa dei confini di entrambi.
Detto in altre parole, l’equilibrio del veggente non può essere compreso a prescindere dalla relazione tra individuo e comunità, che si esprime in una conseguente metodologia di indagine dell’autorità ecclesiastica. Una metodologia irrispettosa dei confini tra comunità ed individuo non è in grado di offrire risultati corretti, anche se adottata dalla legittima autorità ecclesiastica: la scrittura e riscrittura dei segreti, nel caso dell’apparizione de La Salette, trattandosi dell’effetto di una anomalia metodologica, non può quindi essere presa in considerazione per determinare, nel senso inteso dal Suh, l’equilibrio dei veggenti. È un atto squilibrante imposto ai veggenti. Chi si appoggiasse ai segreti per dimostrare eventuali patologie psicologiche e spirituali di Massimino e soprattutto di Melania, invalidando così la loro testimonianza su quanto avvenne il 19 settembre sulla montagna de La Salette, fa un passo metodologicamente infondato[243].
Non è dunque un caso che il criterio negativo proposto dal Suh sia pienamente riscontrabile solo in relazione al messaggio pubblico: infatti, la metodologia utilizzata dai vescovi De Bruillard e Ginoulhiac, in questo caso, non è stata anomala e irrispettosa ma ha verificato l’integrità dei veggenti a partire da una corretta relazione tra comunità e individuo sottesa all’ascolto e all’interpretazione di una parola pubblica.
Un discorso analogo può essere fatto anche nei confronti della riscontrabilità del criterio positivo elaborato dal Suh. Entrambi i vescovi e soprattutto in modo sorprendente Mons. Ginoulhiac rilevano una oblatività crocifissa nella paziente e costante fermezza dei veggenti nel riferire quanto hanno sperimentato sulla montagna de La Salette e nel tacere i segreti, davanti a minacce e lusinghe di ogni genere. Una oblatività teologale tanto più significativa se si considera che Massimino e Melania erano ragazzi (e poi uomo e donna) profondamente segnati dalla vita e dalle sue ambigue durezze.
Se però il tacere i segreti viene ritenuto dai vescovi di Grenoble un elemento essenziale e non modificabile del cammino di santità crocifissa dei veggenti, il loro svelamento non rischia allora di metterlo necessariamente in crisi? La risposta sarebbe stata affermativa nel caso in cui non vi fosse stata la loro estorsione ingannevole da parte dell’autorità ecclesiastica e la loro scrittura e riscrittura fosse stata dovuta all’iniziativa individuale dei veggenti. Ancora una volta, infatti, il criterio positivo proposto dal Suh suppone una giusta e corretta relazione tra individuo e comunità, e quindi una metodologia di indagine rispettosa dei confini di entrambi, che nell’esperienza drammatica di Massimino e Melania non si verifica. Il teologo coreano, infatti, afferma:
«L’obbedienza, in quanto atto di fede, è richiesta non solo all’autorità di Dio ma anche all’autorità della Chiesa. Chi è obbediente si affida all’esame dell’autorità della Chiesa, che ha il diritto di esaminare la presunta rivelazione, poiché Cristo ha consegnato il deposito della fede alla Chiesa per custodirlo e trasmetterlo. Dio non offre i doni ai superbi che negano il magistero della Chiesa. È da notare che, anche quando erano incompresi e soffrivano, i santi carismatici hanno obbedito fedelmente all’autorità della Chiesa. I doni carismatici infatti non escludono il valore della gerarchia della Chiesa, anzi hanno bisogno della sua mediazione a favore del popolo di Dio. Bisogna ribadire che la veridicità di una rivelazione fatta a un soggetto che, in seguito, mostra disobbedienza all’autorità della Chiesa, è sospetta, benché si possa essere certi che Dio in precedenza gliel’abbia data. È ammissibile che Dio conceda i doni straordinari ai santi e ai peccatori, ma non alle persone ribelli all’autorità della Chiesa, poiché lo Spirito del carisma non agisce contro i ministri del Figlio»[244].
L’autorità della Chiesa in merito alle rivelazioni private è relativa all’accertamento della loro conformità al deposito della fede e questo accertamento non può concretizzarsi in una metodologia contraria allo stesso depositum fidei. Ciò vuol dire che l’obbedienza dovuta all’autorità della Chiesa si fonda nell’obbedienza al deposito della fede esercitata dalla medesima autorità: si tratta di una duplice obbedienza che si costruisce e si richiama-rafforza in modo complementare e reciproco. Essa però non esclude quell’ambito di incertezza e di penombra che avvolgono la comunicazione e le relazioni umane, e di fatto il testimone autentico può essere incompreso senza che questo comporti e indichi necessariamente un dolo o una colpa perpetrati nei suoi confronti.
Nel caso di Massimino e Melania, invece, l’estorsione dei segreti non appartiene a questo margine di incertezza e penombra insito nel mistero della finitudine (che non viene mai soppressa da quel che è autenticamente divino), ma è il frutto di un inganno volontario in cui degli innocenti hanno pagato, come vittime sacrificali, il prezzo di una contesa che essi nemmeno conoscevano. Quindi non è possibile dedurre che la scrittura e la riscrittura dei segreti costituiscano un elemento capace di contraddire sostanzialmente l’oblatività crocifissa dei veggenti, poiché esse derivano non dai veggenti stessi ma da un atto che l’autorità della Chiesa, in fedeltà all’obbedienza al deposito della fede, non aveva il diritto di esigere. Scrittura e riscrittura dei segreti, anziché essere il segno di una mancanza di obbedienza e di santità, sono piuttosto una ulteriore croce posta sulle spalle di questi due ragazzi e della loro crescita come uomo e donna: la croce del rifiuto della loro individualità e la croce della loro consegna nelle mani di tutti coloro che cercheranno di fare dell’apparizione un mezzo per raggiungere i propri fini politici, sociali e culturali, dentro e fuori la Chiesa. Una croce pesantissima, da cui Massimino e Melania avrebbero potuto liberarsi rinnegando quanto avevano sperimentato il 19 settembre 1846. Ma questo non è avvenuto: essi non hanno rinnegato l’esperienza di cui erano stati testimoni e continueranno a rimanervi fedeli senza la minima riserva o rimpianto.
«Melania Calvat da tutti è stata riconosciuta come persona sempre vestita di nero, la cui vita nomade da una località all’altra della Francia e dell’Italia fu segnata da modestia nel comportamento, serietà e a volte lacrime, intensa preghiera, forte amore a Gesù Crocifisso, vita di austera mortificazione e penitenza per sé e per gli altri (lo confermano gli strumenti di cui si serviva per macerare il proprio corpo), vita e spirito di povertà portati all’estremo, amore per i poveri, preghiera per le vocazioni e per la fedeltà dei sacerdoti (argomento sul quale tornava sovente nelle centinaia di sue lettere), amore alla “bella Signora” contemplata sulla montagna de La Salette, di cui è stata testimone come Massimino […] Uno sguardo sintetico porta a concludere che anche in Massimino i limiti, la semplicità, il suo “cuore da bambino” o eterno “fanciullone”, l’umiltà, la povertà e l’essere stato oggetto di malevole accuse, il carattere irrequieto ma anche simpatico, la sua costante coerenza di comportamento circa la diffusione del messaggio della Madonna evidenziano le parole del Vangelo: essere piccoli e semplici come i bambini, consapevoli dei propri limiti. In tutto questo si staglia la figura di Massimino Giraud, che verso la fine della sua vita confida: “La Santa Vergine mi ha lasciato con tutti i miei difetti” […] I pellegrini e quanti vengono a conoscenza della vita umile, povera e provata di Melania e Massimino e magari si avvicinano a quanto resta delle loro misere abitazioni nel borgo natio di Corps, rimangono profondamente stupiti. I limiti umani e le prove subite dai veggenti di Maria a La Salette evidenziano ancor di più l’intervento del soprannaturale nella debolezza umana»[245].
3.3.3 La specifica testimonianza carismatica dei veggenti
L’approvazione data dalla Chiesa all’evento de La Salette ha apertamente e motivatamente esplicitato come esso non potesse essere relegato all’esperienza dei veggenti. In altre parole, l’approvazione ha segnato il momento del “distacco” dell’apparizione dalla loro vita e la sua “consegna” alla vita della Chiesa universale senza il bisogno di inastaurare una necessaria relazione causale tra le due esperienze di vita, quella dei veggenti e quella della Chiesa universale[246]. Ciò però non vuol dire che per Massimino e Melania si debba aprire l’oblio della memoria. La querelle sui segreti, nel suo duplice aspetto di dialettica tra permanenza e innovazione da un lato, e di relazione tra comunità ed individuo dall’altro, intercetta una domanda reale relativa alla natura del ruolo specifico di coloro che sono beneficiati di esperienze straordinarie in seno alla comunità ecclesiale, un ruolo pubblico in quanto relativo alla comunità e alla sua crescita. Non sembra adeguato pensare che questo ruolo coincida solo ed esclusivamente con il nascondimento e il silenzio. Riprendendo le controverse ma fondate parole di Mons. Ginoulhiac (diretta eco di quanto già stabilito da Mons. De Bruillard), ora che la missione dei pastorelli è finita ed è cominciata quella della Chiesa[247], cosa possono e debbono fare Massimino e Melania?
Trattandosi di un ruolo pubblico, in quanto ordinato alla crescita visibile e storica della comunità, esso non può essere delineato a partire dai segreti, in quanto essi non sono una parola pubblica. Sempre per lo stesso motivo, esso va cercato a partire dall’attendibilità verificata dei veggenti, ossia dal contenuto della loro testimonianza: il messaggio che essi non hanno potuto inventare e nel quale non è riscontrabile qualsivoglia forma di inganno. Questo messaggio, struttura linguistica pubblica fatta per essere ripetuta da altri, costituisce un gioco linguistico specifico: il rîb o controversia bilaterale[248]. Trattandosi di un procedimento giudiziario volto non a condannare ma a perdonare, il rîb è una “nuova creazione” dove la gratuità divina richiede la cooperazione dell’uomo e della donna. Ciò vuol dire che Massimino e Melania non fungono da semplici spettatori o da ripetitori vuoti, ma sono coinvolti “dentro” il messaggio stesso: esso stesso attesta il bisogno della loro cooperazione, che diventa a sua volta “segno” e “testimonianza” per coloro che li ascolteranno o faranno memoria di loro.
«Per essere autentico ed efficace, il perdono divino ha dunque bisogno di incontrarsi con il desiderio dell’uomo; un desiderio suscitato nel cuore dallo stesso Spirito, e che si concretizza in una duplice ed umile confessione: quella del proprio peccato e quella della misericordia divina[249]. Questa confessione sacrale della propria infedeltà e, pertanto, della superiorità del partner sempre fedele all’alleanza, viene chiamata, in ebraico tôdah: essa fa parte di un gioco linguistico particolare, la “struttura d’alleanza”, che intesse molteplici rapporti con il rîb […] Questo dinamismo, dove si intrecciano il libero desiderio di Dio e il libero desiderio dell’uomo, è linguisticamente descritto nel rîb come risposta affermativa dell’imputato alle domande dell’accusa. Il porre domande appartiene rigorosamente alla logica della controversia bilaterale: chi domanda, infatti, vuole suscitare l’attenzione di chi ascolta, vuole che quest’ultimo presti orecchio alle accuse; e che, rispondendo, dia ragione a chi lo sta rimproverando […] A La Salette Maria pone due domande decisive: “Fate la vostra preghiera, figli miei?” e “Avete mai visto del grano guasto, figli miei?”. Sono domande decisive perché si ricollegano alla denuncia del peccato del popolo precedentemente compiuta. La preghiera fa riferimento all’accoglienza del Cristo e della sua vita di filiale sottomissione a Dio Padre (1Cor 15, 20-28), mentre la Vergine aveva accusato il popolo di ben altro comportamento: “Se il mio popolo non vuole sottomettersi… […] Voi non ci fate caso […] Bestemmiavate il nome di mio Figlio”. Vedere il grano guasto significa riconoscere umilmente il disordine presente nella coscienza: “Se il raccolto si guasta, la colpa è vostra. Ve l’ho mostrato l’anno scorso con le patate; voi non ci avete fatto caso. La risposta dei due ragazzi riconosce la verità dell’accusa: “Fate la vostra preghiera, figli miei? Non molto, Signora, rispondono entrambi […] Avete mai visto del grano guasto, figli miei? Oh sì, Signora, risponde Massimino, ora ricordo. Prima non me lo ricordavo[250] […] Il rîb mediato da Maria ha raggiunto il suo obiettivo: ora la riconciliazione non è solo possibile, ma è già in atto»[251].
Massimino e Melania conoscono perciò una trasformazione, un prima e un dopo, rispetto all’apparizione: è l’apparizione stessa che li trasforma, grazie alla loro libera collaborazione. In primo luogo, l’apparizione dona loro una dimensione vicaria: essi sono lì in tutta la loro individualità a nome di una comunità che in quel momento non solo non è fisicamente presente, ma mai avrebbe pensato di considerare questi due ragazzi incolti, poveri ed ignoranti, quali suoi rappresentanti e portavoce. Si tratta di una dimensione nuova di esistenza, insospettabile prima di quella specifica esperienza e che non viene conquistata in virtù di qualche merito antecedente, ma che viene semplicemente ricevuta come dono gratuito. In secondo luogo, questa dimensione nuova di esistenza vicaria comporta una ristrutturazione profonda delle loro persone: essi sono generati, infatti, ad un mondo differente rispetto a quello che conoscevano. Essi non sono trasportati in un mondo divino, ma sono invece condotti a vivere responsabilmente lo spazio e il tempo che essi abitano.
«Restituire all’uomo il suo spazio, i suoi luoghi, il suo tempo, significa fargli ritrovare un corpo e un volto. Ed è su quel corpo e quel volto che la bellezza piena e autentica può brillare in tutta la sua ampiezza. [Le risposte in prima persona alle domande che vengono loro poste e la narrazione connessa ed esplicativa dell’episodio della terra di Coin[252] possono essere considerate] una vera e propria esperienza di ricostruzione spazio-temporale che, assumendo la contraddittorietà e la complessità della storia, permette la scoperta della bellezza che salva all’interno del gioco simbolico delle interpretazioni operative. L’episodio non può essere ridotto alla stimolazione mnemonica di un fatto. Massimino [e Melania con lui] si trova di fronte a qualcosa di nuovo. Il nuovo è precisamente la ristrutturazione cognitiva, affettiva e operativa del mondo e di sé che Maria ha offerto al ragazzo [e alla ragazza] con il suo discorso [e le sue domande]. Ora Massimino [e Melania con lui] sa che il grano guasto è simbolo della coscienza umana insterilita dal suo allontanamento dal Figlio della “bella Signora”; ora Massimino [e Melania con lui] sa che il grano buono è la coscienza umana vivificata dalla vicinanza al Figlio della “bella Signora”; ora Massimino [e Melania con lui] sa che, rimanendo vicini al Figlio della “bella Signora”, si può lavorare con frutto e costruire un mondo dove i padri possono dare da mangiare ai loro figli. Di fatto, quindi, Maria conduce i due ragazzi e la Chiesa a non temere, anzi a gustare la multidimensionalità dell’esistenza. Proprio questo processo di ristrutturazione spazio-temporale costituisce un atto generativo: Massimino (e anche Melania) viene restituito al suo corpo, cioè alla sua capacità di situarsi effettivamente nella storia, al di là di ogni virtualità[253]. Una vera umanizzazione non può passare per l’abbandono della corporeità, ma, semmai, per la sua assunzione totale da parte del soggetto sia individuale che sociale. È questa una esigenza necessaria alla dinamica della riconciliazione, non solamente antropologica, ma anche teologica. In altre parole, assumere totalmente il proprio corpo non è un compito riconducibile alla psicologia, ma un atto intrinseco al dinamismo della fede e da esso inscindibile. Si tratta di entrare in quel dinamismo di conformazione al reale che costituisce, secondo Bonhoeffer, il nucleo centrale dell’evento cristico […] assumere la propria corporeità, nello spazio ontologico che è Cristo, costituisce l’atto sacerdotale per eccellenza del cammino di fede»[254].
In terzo luogo, ristrutturati e restituiti al loro volto e al loro corpo, in questo mondo nuovo cui sono stati gratuitamente generati e di cui hanno liberamente scelto con le loro risposte di far parte, Massimino e Melania sono ora in grado di comprendere che il male non è una necessità insormontabile.
«Una coscienza riemersa alla sua vocazionalità costitutiva attraverso l’alleanza sarà in grado di cogliere, nella compassione, la sfida dell’intollerabile […] La “bella Signora” conduce Massimino e Melania a prendere coscienza dell’intollerabile: la morte dei bambini e la carestia sono realtà intollerabili e come tali la Vergine vuole che siano percepiti. Una intollerabilità che la “bella Signora” conosce per esperienza diretta: il peso e la fatica della sofferenza mortale non sono “intorno” a lei, ma “sopra” e “dentro” il suo corpo, perché sono “sopra” e “dentro” il corpo del suo Figlio. Lo attestano inequivocabilmente le parole: “Da quanto tempo soffro per voi! Il braccio di mio Figlio è così forte e così pesante che non posso più sostenerlo. Mai potrete compensare la pena che mi sono presa per voi”. Lo manifestano, in modo inquietante, le sue lacrime. Ancora una volta, perché ci sia esperienza dell’intollerabile, la corporeità non può e non deve essere rimossa […] Di fatto, il rîb è manifestazione di una esistenza profondamente e intollerabilmente ferita dal male: il male non è un’astrazione, ma la mimesi della morte che, elevata a principio ermeneutico della realtà, distrugge e violenta i viventi. Per essere feriti dal male, bisogna in qualche modo subirlo: il “luogo” di questa ferita è e rimane la corporeità. La virtualità, accantonando la dimensione corporale, immunizza sì da questa lacerazione, ma ha un prezzo da pagare molto alto: l’oblio dei sofferenti […] Lì dove c’è necessità non può però esistere l’intollerabile: il necessario, per definizione, non offre alternative alla sua accettazione. L’intollerabile, invece, è appello alla libertà perché trovi altre strade rispetto alla mimesi dell’esistente. In altre parole, l’intollerabile destruttura la necessità di una situazione, ridefinendo quest’ultima come esito di una libertà storicamente situata e, pertanto, suscettibile di cambiamento e trasformazione nella resa di fronte alla verità»[255].
Questa triplice trasformazione, che si attua attraverso il coinvolgimento della coscienza e della libertà di Massimino e Melania e si esprime nella loro tôdah, costituisce il “segno” e la “testimonianza” specifica dei veggenti in quanto tali, il loro “carisma”, accertato e valorizzato nel momento in cui la Chiesa ha accolto il racconto della loro esperienza sulla montagna de La Salette e ne ha intuito l’origine soprannaturale e divina. Tale carisma non consiste dunque in una missione occultata e marginalizzata (da riconoscere e riabilitare in ogni modo possibile) ma piuttosto nell’essere stati “primizia” di quella realtà nuova che la mariofania de La Salette si prefiggeva (e si prefigge) di introdurre nella storia a partire dall’eterna novità che è il Cristo crocifisso e risorto, figlio della Vergine, Maria. In altre parole, il carisma proprio di Massimino e Melania consiste nell’essere stati, sulla montagna de La Salette, la “primizia” della Chiesa: un uomo e una donna gratuitamente vocati e riconciliati per essere corpo di Cristo e sua parola in mezzo alle parole che costituiscono la storia dell’umanità. E non poteva essere diversamente, dal momento che grazie a Mons. De Bruillard, l’apparizione de La Salette è stata accolta nella vita della comunità proprio per il suo dinamismo ecclesiogenetico.
4. Conclusioni
L’interrogativo iniziale con cui si è aperto questo studio riguardava la validità e il livello di autorità con cui il vescovo di Grenoble, Philibert De Bruillard, si è pronunciato di fronte all’evento de La Salette, dal momento che molti, in possesso di informazioni parziali o addirittura deformate, tendono a squalificare il suo operato e a ritenerlo non vincolante e applicabile al giorno d’oggi.
Il cammino fin qui percorso ha invece evidenziato non solo la consapevolezza di Mons. De Bruillard di fronte alle proprie responsabilità di primo pastore della diocesi, ma anche la sua profonda intenzione di pronunciarsi su una base teologicamente ineccepibile, l’unica capace di dare all’apparizione de La Salette un suo posto significativo e qualificato nel vissuto del popolo di Dio. Che questa consapevolezza e questa intenzione si siano concretizzate è confermato anche dal fatto che il suo successore, Mons. Ginoulhiac, davanti a una crisi di credibilità dell’apparizione e dei suoi testimoni, si richiama a quanto affermato ed esposto da Mons. De Bruillard senza cercare altre possibili soluzioni che, pur legittime, avrebbero evidenziato delle mancanze essenziali nella procedura di approccio e valutazione dell’evento del 19 settembre 1846.
Contrariamente all’opinione diffusa anche tra gli studiosi, è così emersa una metodologia teologica di analisi e ricezione di un’apparizione che non solo non dimostra la sua “anzianità” (essendo stata elaborata nel XIX secolo), ma che può essere legittimamente, validamente e fruttuosamente utilizzata ancora oggi, proprio per abbordare quei fenomeni della vita di fede che da sempre, per la loro caratteristica, richiedono un supplemento di sforzo ermeneutico, soprattutto in una comunità ecclesiale che voglia superare la dicotomia tra istituzione e carisma[256].
Questa metodologia teologica ha al suo centro la genesi stessa della Chiesa, genesi originata dallo Spirito del Risorto e dalla testimonianza delle Scritture, in vista della missione di annunciare il regno di Dio. L’apparizione può essere dichiarata autentica solo quando in essa si ritrovano all’opera i fattori genetici della Chiesa, così come essi vengono testimoniati dalla Parola (Scrittura e Tradizione). Se l’apparizione fa nascere la Chiesa, essa non può non essere ordinata alla credibilità della Chiesa stessa, dal momento che la credibilità profonda della Chiesa deriva proprio dal suo esserci: un esserci nella fede, nella speranza e nella carità[257], causato non da ragioni e operazioni umane, ma dalla fedeltà divina all’economia della salvezza e dell’alleanza.
Il legame tra la genesi della Chiesa e la sua credibilità viene esplicitato dalla tradizione tomista e tridentina[258], al cui interno Mons. De Bruillard si muove, mediante il concetto di “carisma”[259]: per Tommaso, infatti, il carisma è precisamente un segno di credibilità della Chiesa, facente parte perciò di quell’insieme di segni che possono accompagnare la comunità cristiana nella storia[260]. Per essere autentica dunque, l’apparizione deve rivestire i caratteri del carisma e per poterlo fare non esiste altra via che quella della presenza dei dinamismi fondamentali della genesi della Chiesa, presenza che costituisce precisamente l’oggetto dell’accertamento da parte di Mons. De Bruillard[261].
Se l’apparizione trova la sua autenticità nel generare il mistero della Chiesa e nell’essere perciò un suo carisma, ne consegue che il ruolo dei suoi testimoni non può essere primario, proprio perchè il mistero della Chiesa è più grande dei suoi testimoni e non può assolutamente coincidere con essi. Se è logico e doveroso sondarne la credibilità, con una metodologia rispettosa del giusto rapporto tra individuo e comunità, in ultima analisi non sono i testimoni il criterio decisivo della verità di un’apparizione, dal momento che se fosse così, l’apparizione sarebbe una realtà fatta a misura del testimone, ma non a misura dell’intera comunità. La credibilità del testimone, fenomeno complesso perché capace di veicolare intorno a sé interessi coscienti e non, è solo un passaggio all’interno di una metodologia di approccio ed analisi di un carisma quale un’apparizione, e non porta come sua necessaria conseguenza l’esigenza di riservare al testimone stesso un posto particolare di onore e di missione nella vita della comunità[262], fatta salva la gioiosa e fraterna gratitudine nei suoi confronti per la perseveranza e la pazienza della sua testimonianza. Gratitudine che deve essere ancora più forte, sentita e sincera quanto più il testimone ha dovuto esporre sé stesso al pericolo dell’incomprensione, del rifiuto, della negazione di sé come della sua testimonianza. Eppure, nel caso di Massimino e di Melania, questa gioiosa e fraterna gratitudine loro dovuta non solo è ingiustamente assente, ma è stata anche sostituita dalla prevenzione e dal sospetto.
Una ulteriore osservazione va fatta anche per la prassi della consultazione messa in atto da Mons. De Bruillard sia negli anni di inchiesta precedenti il decreto di approvazione che nell’elaborazione dello stesso[263]. Si tratta di un elemento sorprendente, soprattutto perché non aderente alla visione dominante della Chiesa dell’epoca, preoccupata dell’asserzione della verticalità piuttosto che della collegialità[264]. La percezione dichiarata delle proprie responsabilità di primo pastore e il conflitto durevole con il cardinale De Bonald non hanno distolto Mons. De Bruillard dal confronto aperto con gli altri vescovi di Francia e anche di altri paesi, e si può a ragione affermare che dietro (o per meglio dire, dentro) l’approvazione dell’apparizione non c’è solamente una specie di “monarca assoluto” (per quanto illuminato possa essere)[265], ma c’è un uomo, un vescovo, che ritiene di doversi confrontare, in un clima di costante riferimento alle Scritture e alla Tradizione, con altri uomini, altri vescovi, in modo da poter raggiungere un giudizio che sia il più possibilmente ecclesiale, dato che proprio la genesi della Chiesa è l’orizzonte nel quale egli voleva porre l’evento del 19 settembre 1846.
In definitiva, pur rimanendo vero che le apparizioni non appartengono al deposito della fede, esse appartengono nondimeno alla vita della Chiesa e vengono trasmesse nel corso del tempo alle generazioni future proprio perché la Chiesa non trasmette solo un insieme astratto di verità o solamente la sua struttura sacramentale, ma sé stessa. Il contributo dato da Mons. De Bruillard il 19 settembre 1851 si iscrive in questa dinamica; ed è grazie alla profondità teologica del suo procedimento che non solo l’apparizione de La Salette, riportata alla sua originalità e alla sua essenza, può essere ancora carisma vitale per l’intero popolo di Dio, ma anche altri eventi possono beneficiare della griglia ermeneutica da lui elaborata e rivelare così la loro conformità al mistero di Cristo e della Chiesa, per sviluppare la carica profetica di cui, in quanto carismi, sono portatori per la comunità credente e per la società umana[266]. Come accogliere i carismi?
«I carismi devono essere accolti con riconoscenza non soltanto da chi li riceve, ma anche da tutti i membri della Chiesa. Infatti sono una meravigliosa ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità di tutto il Corpo di Cristo, purchè si tratti di doni che provengono veramente dallo Spirito Santo e siano esercitati in modo pienamente conforme agli autentici impulsi dello stesso Spirito, cioè secondo la carità, vera misura dei carismi»[267].
L’aver considerato un’apparizione quale carisma, in virtù della sua vocazione al “servizio” dell’ecclesiogenesi, autorizza ad applicare ad essa quanto scritto nel Catechismo: tutti la debbono accogliere con riconoscenza. Se da un lato, però, la riconoscenza non può essere equiparata alla fede teologale, dovuta esclusivamente alla Rivelazione pubblica[268], dall’altro non sembra congruo ridurla alla fede umana presente nel “De servorum” del cardinale Lambertini[269], che scrive:
«Portiamo a conoscenza che l’autorizzazione data dalla Chiesa a una rivelazione privata non è altro che il consenso accordato dopo un attento esame, affinchè questa rivelazione sia conosciuta per l’edificazione e il bene dei fedeli. A queste rivelazioni, anche se approvate dalla Chiesa, non si deve accordare un assenso di fede cattolica. Occorre, secondo le regole della prudenza, dare loro l’assenso della fede umana, in quanto siffatte rivelazioni sono probabili e pienamente credibili. Si può dunque rifiutare il proprio assenso a dette rivelazioni e non prenderle in considerazione, purchè lo si faccia con l’opportuno riservo, per delle buone ragioni e senza sentimenti di disprezzo»[270].
La teologia dei carismi, «che non può essere relegata al passato della Chiesa delle origini, giustamente declina nella Chiesa e per la Chiesa di tutti i tempi la perennità e attualità dei doni pentecostali che lo Spirito del Padre e del Figlio concede per il bene comune»[271]. La posizione di Rahner, che inquadra le apparizioni nel quadro del carisma specificamente profetico, lo porta necessariamente a concludere che ad esse vada tributato «un diritto e un dovere di fede (fides divina)», non solo da parte dei veggenti ma anche da quanti siano raggiunti dalla notizia:
«se Dio ha parlato e la cosa è certa, mi è cioè dimostrata con sufficiente chiarezza, allora sorge senz’altro per me il dovere di ascoltare, di obbedire e di credere, per quel tanto che il contenuto di ciò che è stato udito riguarda anche me […] Il senso vero delle profezie è quello di essere un imperativo che ci prescrive l’atteggiamento giusto nei confronti di quel futuro che rimane oscuro, minaccioso e in generale – almeno dal punto di vista mondano – destinato alla morte, un futuro tuttavia salvifico, per colui che crede e ama»[272].
Se però si inquadra il carisma nell’orizzonte più ampio di una vocazione al “servizio” ecclesiogenetico, si è probabilmente in grado di accogliere ed apprezzare ancora meglio il valore della riconoscenza cui tutti sono tenuti secondo il Catechismo, superando quella che sembra essere una inevitabile aporia cui giungere qualora si rimanga in un quadro più specificamente profetico: è intrinseca alla profezia, infatti, l’esigenza dell’obbedienza. È la molteplice riconoscenza che si prova davanti al dono della Chiesa: è perché esiste la Chiesa che posso essere credente; è perché esiste la Chiesa che posso conoscere il Cristo e il suo Vangelo; è perché esiste la Chiesa che posso celebrare nella speranza la fede che opera nella carità; è perché esiste la Chiesa che posso affermare l’irrevocabilità dell’alleanza divina con l’umanità[273].
Tutto questo non fa che riproporre con ancora maggiore urgenza l’esigenza di una criteriologia teologica adeguata soprattutto oggi, in cui fenomeni quali apparizioni (della Vergine o dei santi) o messaggi a loro ascritti, così come altri eventi simili (movimenti di statue, lacrimazioni di sangue,) sembrano essere molto frequenti e aperti a continue deformazioni, anche tenendo conto dell’influenza organica e invasiva dei media (i cui interessi non possono certo essere definiti come cristiani) e di una sempre maggiore frattura tra i pronunciamenti della gerarchia e l’esperienza religiosa dei singoli come dei gruppi. Forse proprio l’aver finalmente ritrovato la metodologia che permise all’apparizione de La Salette di iniziare il suo cammino nella comunità cristiana può essere la porta che apre un futuro di equilibrio, di rinnovamento, di santità.
Gian Matteo Roggio ms